LIBRI: LA ”MOGLIE AMERICANA” KATHERINE DAGLI USA A NAPOLI ”E ADORO ROCCARASO”

di Anna Peretti

20 Agosto 2017 08:07

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L’AQUILA – Un’americana a Napoli. Katherine Wilson, autrice del libro La moglie americana, ha deciso di mettere su carta la sua esperienza di vita nella città partenopea, mettendo così a confronto due culture per molti aspetti opposte.

Tra le insospettabili difficoltà cui abituarsi, “l’assenza dell’aria condizionata”, mentre tra le sue abitudini a sorprendere “il mancato uso dell’asciugacapelli”.

Innamorata della cucina italiana, Katherine ha deciso anche di riportare delle ricette napoletane nel racconto per far conoscere agli statunitensi i veri sapori dell’Italia.

Non solo una volontà “enciclopedica”, ma una precisa esigenza sociale: “Qui tutti i rapporti e gli eventi significativi succedono in cucina o in sala da pranzo, quindi ho voluto portare il lettore, soprattutto quello straniero, letteralmente dentro la cucina di mia suocera”, racconta.

Nella sua pubblicazione c’è un capitolo interamente dedicato all’Abruzzo, in particolare a Roccaraso, altra terra che ha imparato ad amare.

AbruzzoWeb l’ha intervistata per saperne di più della sua vita tricolore e delle radici a stelle e strisce a partire dal suo pensiero sul presidente Donald Trump che, fa notare, “ha dato spazio all’odio e alla rabbia”.

Com’è avvenuto il suo trasferimento in Italia?

Ormai è più di vent’anni fa, nel 1996. Volevo fare una breve esperienza all’estero, molti mi hanno sconsigliato Napoli e mi hanno detto di scegliere qualche città più piccola e tranquilla, magari in Toscana, ma mi ha incuriosito molto quella città e una volta lì posso dire che per me si è aperto un po’ il mondo. L’Italia è un paradiso per tutti i sensi, senza contare la cultura del cibo che mi ha affascinata sin da subito. L’umanità delle persone e l’accettare una donna di una cultura diversa mi hanno colpito molto.





Ci sono dei modi di fare italiani a cui lei non si è ancora abituata?

Una cosa molto difficile per me è l’aria condizionata, perché in America la usiamo molto di più rispetto a qui, molti si lamentano del colpo di freddo, io per esempio non ho mai avuto un phone in America, perché non si usa, e molti si stupiscono del mio modo di fare. Inoltre la cultura del cibo perché, pur essendo meravigliosa, qui ruota tutto in torno al pranzo.

Come nasce il suo libro?

È un’autobiografia della mia esperienza in Italia. Volevo portare il lettore dentro la cultura italiana e napoletana, in particolare in cucina. Ho notato che qui tutti i rapporti e gli eventi significativi succedevano o in cucina o in sala da pranzo, quindi ho voluto portare il lettore, soprattutto quello straniero, letteralmente dentro la cucina di mia suocera, dove non solo si mangiava, ma si imparavano anche i modi di fare e l’approccio alla vita napoletana. A Napoli c’è un grande senso del corpo e dell’ascolto del proprio corpo, mentre in America siamo più chiusi mentalmente. In America c’è molto più pregiudizio rispetto a Napoli. Sul libro, inoltre, c’è anche un capitolo dedicato all’Abruzzo, in particolare su Roccaraso, perché con i miei suoceri andavo spesso in vacanza lì e quindi ho deciso di parlarne.

Qualora, facendo il tragitto opposto, una napoletana andasse a vivere in America, che cosa cambierebbe per lei?

Sicuramente dovrebbe abituarsi a un cibo molto, molto diverso e inferiore a quello che si mangia qui, anche se penso che i napoletani abbiano una grandissima capacità di adattarsi e di capire l’altro com’è fatto, quindi non credo che ci sarebbero grandi problemi. In America c’è molta efficienza, tutto funziona molto bene, ma sicuramente mancherebbe molto il calore e il rapporto tra le persone.

All’interno del libro ci sono anche delle ricette, quali ha deciso di inserire?

Ci sono quattro ricette di mia suocera: la parmigiana di melanzane, il sartù di riso, il ragù napoletano e l’insalata di polipo, però siccome non sono una chef, le ricette sono spiegate come se il lettore fosse in cucina con mia suocera e ci sono tutti i consigli che lei dà a me. Le ricette qui vengono fatte con il cuore, vedo che gli americani fanno sempre tutto di fretta, una caratteristica per la quale, però, non c’è posto in cucina. Inoltre è stato molto difficile, per mia suocera, spiegare al meglio le ricette, dato che lei non dosa le quantità ma gestisce tutto a occhio.





Da dove è nata la sua passione per la scrittura?

Ho iniziato a scrivere perché vivevo molto questa doppia identità, la me americana e poi l’esperienza in Italia, e volevo condividere con gli americani questo modo di vivere italiano e la scrittura era il mezzo con cui riuscivo meglio.

Come hanno risposto a questa storia i lettori americani e italiani?

Ho pensato al lettore americano mentre scrivevo il libro, perché volevo introdurre lo straniero alla cultura italiana. L’hanno apprezzato molto perché è chiaramente diverso dalla cultura americana, però mi ha fatto piacere vedere che è stato apprezzato anche da molti italiani. Inoltre, si parla molto di radici e il modo migliore per capirle è di vederle a confronto con una cultura diversa, così da apprezzare le varie differenze.

Si è ispirata a qualche autore in particolare?

A me sono sempre piaciute le autobiografie di gente “normale” perché viene raccontata la verità e quando si racconta la vita in prima persona si può imparare tanto. Per esempio, l’autrice di “Mangia, prega, ama” Elizabeth Gilbert: questi libri che raccontano con molta umiltà la storia degli autori a me hanno dato molto e volevo fare una cosa simile.

Immagino che lei torni in America ogni tanto, che cosa ne pensa delle ultime elezioni e della vittoria del presidente Donald Trump?

Torno due volte l’anno e devo dire che è stata una cosa scioccante perché quest’uomo non rappresenta affatto i valori della nazione. Quando torno a casa sto a New York e a Washington o nelle zone dove la gente non condivide la politica del presidente, e devo dire che c’è tanta rabbia, tanta frustrazione. È spaventoso vedere come è riuscito a vincere: ha dato spazio all’odio e alla rabbia.

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