LA MADONNA DEL POPOLO AQUILANO, DIPINTO CHE PIACEVA A PAPI E IMPERATORI

di Eleonora Marchini

26 Aprile 2015 10:09

L'Aquila -

L’AQUILA – Se fosse stato possibile passare, poco meno di un mese dopo l’inferno del 6 aprile 2009, in piazza Duomo, si sarebbe avuta la sorpresa di trovare un quadro provvisoriamente accostato a una ringhiera, tra teloni e imbracature e confusione generale.

Una tela settecentesca impolverata, lacerata, graffiata. Raffigurava la dolce immagine della Madonna del Popolo aquilano, la Salus Populi coprotettrice della città e veneratissima da quasi 300 anni per molteplici grazie e per svariati miracoli a lei attribuiti.

Era il 3 maggio: i vigili del fuoco, impegnati nelle operazioni di verifica degli edifici e di soccorso, avevano recuperato il dipinto tra i detriti della chiesa di San Marco, santuario designato fin dal 1750, ma ancora oggi a distanza di 6 anni, inagibile e anzi al centro di una diatriba per l’avvio dei lavori di ristrutturazione e restauro, come riportato da questo giornale.

In quei giorni caotici in cui sembrava davvero che la speranza fosse partita per un viaggio senza ritorno, in cui era chiaro che tutto sarebbe stato per sempre diverso da “prima”, ogni piccola cosa bella, ogni ritrovamento, ogni ricordo o pezzetto della storia cittadina che saltasse fuori dalla polvere, poteva essere nutrimento per gli animi, motivo per guardare con un po’ più di fiducia a quell’idea confusa che era diventato il futuro.

Il quadro doveva essere restaurato e restituito agli aquilani. La somma necessaria si è ottenuta con i proventi della ristampa di un libro, Il nostro terremoto del giornalista Angelo De Nicola (One Group edizioni), una sorta di diario collettivo dei primi tempi post-sisma.

I fondi per il restauro sono stati consegnati alla Curia con una cerimonia il 18 giugno 2010. Il restauro, invece, completato con la solenne nuova incoronazione il 13 maggio 2013 alla presenza delle autorità religiose e civili.

La Madonna del Popolo Aquilano non è soltanto un dipinto antico. È una immagine di rara dolcezza, da cui sprigiona un materno senso di protezione. La sua storia ha radici più antiche del 1720, anno in cui il padre missionario dei Cappuccini Giuseppe Antonio da Trivigliano, trovandosi ospite presso la casa di un commerciante di Scandriglia (paese in provincia di Rieti), fu colpito da un fatto singolare.

Il figlio più piccolo del padrone di casa, che si era impossessato non si sa come di un disegno su carta di una Madonna con figlio, smise di piangere solo nel momento in cui tale disegno passò nelle mani del frate missionario.

Il ritratto in questione era una copia dell’affresco posto sull’altare centrale della chiesa di Santa Maria in Vallebona, nei pressi dell’abitato di Orvinio, risalente all’incirca al 1600. Immagine miracolosa da cui si narra fosse sgorgato sangue vivo al momento del suo ritrovamento nelle campagne di Vallebona.





Padre Giuseppe prese questo avvenimento come un segno divino e portò sempre con sé il disegno durante tutto il suo peregrinare di missionario. Con il moltiplicarsi di prodigiose guarigioni al semplice contatto con l’immagine e per il deteriorarsi della stessa, il cappuccino decise di farne realizzare delle copie e incaricò un giovane pittore romano alle prime armi, tal Gabriele Mattei.

Come unico pagamento questi ebbe la promessa che, per intercessione della Vergine, sarebbe diventato maestro nell’arte pittorica.

Il Mattei realizzò tre copie della Madonna che allatta il Figlio. Di queste, una fu donata alla cittadina di Antrodoco ed è ancora oggi custodita nella cappella della Vergine del Rosario all’interno della Collegiata di Santa Maria Assunta.

La seconda fu portata all’Aquila durante le predicazioni di padre Giuseppe nel luglio del 1723 ed esposta nella chiesa di San Michele dell’omonimo convento dei cappuccini, che divenne la sede delle scuole industriali Patini presso i giardini pubblici, in tempi recenti. Anche la terza finì, in un modo o nell’altro, nella città federiciana.

Tanta fu la partecipazione degli Aquilani, di ogni ceto e classe, con tale profusione di elemosine e umile venerazione e una presto diffusissima fama di immagine miracolosa, che i padri cappuccini e i parroci della città chiesero al padre Giuseppe di donare il dipinto della Madonna consolatrice degli afflitti alla città dell’Aquila.

Padre Giuseppe non era difficile da convincere, solo si trovò davanti il dilemma della scelta del luogo da designare quale santuario per ospitare il quadro della Vergine. Ognuno chiedeva l’immagine per la propria chiesa.

Dopo una lunga riflessione, il frate scrisse al prevosto della collegiata di Santa Maria di Bagno, chiesa distrutta completamente con il terremoto del 1703 e i cui diritti erano passati alla chiesa di San Marco, comunicandogli di essere stato prescelto quale custode della icona miracolosa.

La notizia fu accolta con grande entusiasmo dal vescovo, dal magistrato e dai cittadini e per 8 giorni ci furono solenni festeggiamenti in onore del nome di Maria. L’immagine prese il nome di Madonna del Popolo Aquilano.

Non ci volle molto perché la notizia di innumerevoli prodigi varcasse i confini e arrivasse molto lontano.

Fino all’imperatore d’Austria Carlo VI il quale cercò in tutti i modi di avere presso di sé l’immagine originale.





Padre Giuseppe intraprese il lungo viaggio verso l’Austria, recando come al solito l’originale e una copia fatta realizzare per l’Imperatore. Ma non tornò più nella sua terra: morì il 19 aprile 1728 proprio a Vienna, dopo mesi di lunghe predicazioni.

La copia in tela della Madonna del Popolo fu conservata (e lo è tutt’oggi) nella chiesa dei Cappuccini a Vienna in piazza del Mercato, ignota è la sorte dell’originale disegno che pure padre Giuseppe aveva con sé.

Molte altre copie furono realizzate e se ne contano diverse nella stessa capitale austriaca, poi a Lubiana a opera di un soldato della guardia imperiale, a Recanati nella cappella gentilizia della famiglia Leopardi.

All’Aquila, gente da tutto il contado accorreva per venerare e invocare quella che ormai era chiamata la loro Madonna. Fu posizionata in una cappella laterale di San Marco, riccamente adorna di decorazioni e di ex voto a testimoniare le grazie ricevute. Al di sotto del quadro le seguenti parole ( in latino): “O Aquilani! Fissate lo sguardo qui dove splende la Vergine Madre del Popolo: essa è la sola vostra vita e la vostra salvezza”.

La congregazione del Santissimo Nome di Maria, nata per raggrupparne i fedeli, contò più di 6 mila iscritti in brevissimo tempo. Tra essi lo stesso imperatore Carlo VI, la sua consorte e le loro figlie. Il sommo pontefice Benedetto XIII concesse l’indulgenza plenaria a chi avesse visitato San Marco.

Una Raccolta di grazie e miracoli operati da Dio per intercessione della Beatissima Vergine Consolatrice degl’Afflitti la di cui Sacra Imagine si porta nelle missioni dal P. Giuseppe Antonio da Trivigliano, scritta da Fabrizio Borgia nel 1727, si trova nella Biblioteca Nacional di Madrid.

Nel 1950, per confermare l’amore e la devozione del popolo aquilano, il vescovo di Teramo, monsignor Vincenzo Gremigni, amministratore della diocesi aquilana resa vacante dal trasferimento di monsignor Carlo Confalonieri, chiese e ottenne di poter incoronare con corona d’oro l’effigie della Madonna del Popolo Aquilano, secondo una tradizione ecclesiastica rispetto a immagini di particolare devozione e storia.

L’onore dell’incoronazione spettò poi, l’8 ottobre 1950, al nuovo arcivescovo metropolita, monsignor Beniamino Stella, insieme al cardinale Federico Tedeschini.

Oggi, quella dolcissima immagine della Vergine Maria è esposta nella nuova Cappella della Memoria, a lato della chiesa di Santa Maria del Suffragio, più conosciuta come “delle Anime Sante”, in attesa di tornare al suo posto nella cappella della chiesa di San Marco.

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