CORONAVIRUS: INTERVISTA A PRESIDENTE CONFINDUSTRIA ABRUZZO, GIUDIZIO CON LUCI ED OMBRE SU ULTIMO DECRETO CONTE E AZIONE REGIONE, ''DIFFICOLTA' A FARE TAMPONI''

FASE 2 : CONTAGI COME INFORTUNI SU LAVORO FRACASSI, ”DANNI INCALCOLABILI PER IMPRESE”

16 Maggio 2020 09:35

Regione - Cronaca

L'AQUILA – “In solo due mesi siamo ripiombati nella crisi più nera. E per uscirne non bastano le misure tampone, come la cassa integrazione in deroga e altri sostegni al reddito, occorre far ripartire l'economia. E non aiuta certo gli imprenditori l’aver parificato il contagio ad un infortunio, con il datore di lavoro responsabile, anche se ha adottato tutti gli accorgimenti. Quello che non va è che, pur volendo, è difficile fare test anticovid alle maestranze, a proprie spese, perchè le strutture sanitarie sono già sotto pressione”.

È solo uno dei giudizi, nell’intervista di Abruzzoweb, sulle misure varate finora dal governo, del presidente di Confindustria Abruzzo Marco Fracassi, in prima linea sul fronte dell’emergenza coronavirus, sanitaria innanzitutto, ma ora sempre di più economica e sociale, che incalcolabili danni sta determinando anche a buona parte delle 1.200 aziende abruzzesi rappresentate dall’associazione, che contano 40 mila dipendenti, e rappresentano una buona fetta del pil regionale e del suo export, anch’esso in panne.

Fracassi, 48 anni, laureato in Economia aziendale alla Bocconi di Milano, è amministratore unico della Fama Plast di Avezzano, che conta 40 dipendenti. Nel 2012 è diventato consigliere di amministrazione di Confindustria L’Aquila e dal 2015 a gennaio 2019 ha rivestito la carica di presidente di Confindustria L’Aquila Abruzzo Interno.

A novembre scorso l'elezione all’unanimità a presidente regionale di Confindustria, in una fase in cui dopo anni di crisi finalmente si registravano segnali positivi in termini di fatturati ed occupazione.

Nessuno poteva immaginare dopo pochi mesi di ritrovarsi in questa drammatica situazione. Con il pil dato in picchiata di ben nove punti percentuale.

In un già difficilissimo contesto, gli industriali sono ai ferri corti con il governo sulla questione della parificazione del contagio a infortunio sul lavoro. Accade infatti che la somma fra il decreto (articolo 42, comma 2, decreto legge 17 marzo 2020 n. 18, il cosiddetto Cura-Italia) e una circolare dell’Inail del 3 aprile porta a questo scenario: se una persona con un lavoro dipendente viene contagiata da coronavirus, ne è responsabile civile e penale l’azienda per cui lavora. Sotto processo finisce l’impresa ovunque sia avvenuto il contagio. Sotto processo l’impresa qualunque sia il grado di tutela adottata, compresa l’adesione totale alle norme e ai protocolli.

Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, intervistato ieri da Radio 24, ha riconosciuto che “le imprese che rispettano il Protocollo di sicurezza e consentono ai dipendenti di lavorare in sicurezza non possono rispondere dei contagi. Casi che non possono essere dimostrati come maturati all'interno dell'azienda, credo che questo sia un principio sacrosanto”. Promettendo che Governo e Parlamento dovranno occuparsene. Ma intanto molti imprenditori, a proprio rischio e pericolo hanno già riavviato la produzione. 

In Abruzzo una buona metà delle imprese, non operanti nei settori strategici e non interessate dal lockdown, è ferma da inizio marzo.





Ora, con la “fase due” scoccata il 4 maggio stanno tornando in attività ma con tante incognite, in un mercato semiparalizzato, con spese aggiuntive per le opportune misure di sicurezza per evitare contagi in fabbrica.

Per il presidente di Confindustria non ci sono in prospettiva alternative: “un nuovo stop non ce lo possiamo permettere, andrebbe a gambe all’aria il Paese, serve senso di responsabilità, rispetto delle regole sanitarie, per evitare un nuovo aumento dei contagi, e poi prevedere eventualmente lockdown circoscritti a nuovi focolai, contando su una risposta ora rodata e più organizzata”.

Bene infine dare una boccata di ossigeno con aiuti diretti, come il reddito di emergenza e i 600 euro a partite iva ed autonomi, la citata cassa integrazione in deroga, ragiona Fracassi, ma avverte, “dalla crisi se ne esce solo  mettendo sul piatto misure fortissime”, e cita i 36 miliardi per sbloccare 600 opere immediatamente cantierabili.  

Marco Fracassi, il governo Conte sta dando le risposte attese a voi industriali?

Positiva è la cancellazione dell’acconto e del saldo dell’Irap, anche se Confindustria aveva chiesto l’abolizione, importante è l’accelerazione del pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Determinate sarà però mettere sul piatto non meno di 36 miliardi per finanziare 600 opere pubbliche già cantierabili. Resta il problema dell’accesso al credito che sta rendendo inefficace la misura che prevede prestiti agevolati per 25 mila euro. In virtù delle istruttorie degli istituti bancari, i tempi si rallentano e ci sono imprese che rimangono escluse. E non è a ben vedere un toccasana: la situazione è di straordinaria difficoltà e molti imprenditori non se la sentono di investire, tenuto conto che poi questi soldi vanno restituiti in sei anni. Un arco temporale troppo breve. Non a caso noi avevamo chiesto una restituzione a non meno di 15 anni”.

Il reddito di emergenza, gli aiuti ad autonomi e partite iva ed altre categorie di lavoratori, i fondi a pioggia per i vari settori, serviranno a superare la crisi?

È ossigeno che si dà al malato per farlo restare in vita. È una misura tampone. Però naturalmente per lo sviluppo per il mantenimento dell’occupazione c’è bisogno di ben altro. Pensiamo ad esempio alle cassa integrazione in deroga: va a tamponare un’urgenza, ma sarà limitata nel tempo. In autunno, quando non ci sarà più questo ammortizzatore, cosa accadrà? Come si riuscirà a mantenere i livelli occupazionali?

Ed invece le misure della Regione sono efficaci?





Sta facendo la sua parte, ma ad oggi c’è poco. Un aiuto concreto sono i bandi dei contributi diretti alle imprese. Ritengo poi che la riprogrammazione dei fondi europei per dare copertura alle misure di emergenza vada fatta con oculatezza ed equilibrio. Non si possono cancellare misure strategiche ed efficaci.

Quanto pesano in termini di costi, le misure anti-covid che ora devono obbligatoriamente adottare le imprese?

Premesso che sono misure necessarie e indiscutibili, i costi sono considerevoli per un’impresa: vanno acquistare enormi quantità di mascherine, di tute e di guanti, occorre sanificare gli ambienti, riorganizzare gli spazi e così via. Importante sarebbe fare anche test sierologici e tamponi, e sarebbe a tal proposito consentirlo fare a prezzi calmierati. Tenuto però  conto che ad oggi, pur volendo, ci sono poche strutture sanitarie, già sotto pressione a cui rivolgersi. Inoltre se un operaio dovesse risultare positivo, la colpa ricade sul datore di lavoro:  parificare la contaminazione ad un incidente sul lavoro è stata un’assurdità: come si fa a dire che essa è avvenuta nel luogo di lavoro? Ad oggi questa norma, che va subito cambiata, rappresenta un rischio inaccettabile per imprenditori che già si trovano ad operare in un contesto difficilissimo.

Il mondo produttivo ha fatto pressione per riaprire le attività il prima possibile, e continua a farlo. Ma non si rischia di determinare in questo modo una recrudescenza della pandemia?

Occorre ripartire, altrimenti il paese va a picco: l’importante è farlo nel più rigoroso rispetto delle misure anti contagio, non vedo alternative. Serve un grandissimo senso di responsabiità, non possiamo sbagliare. Un nuovo lockdown sarebbe ingestibile dal punto economico e finanziario. Significherebbe andare in default. Per fortuna, se dovessero risalire i contagi, saremo più preparati e attrezzati, avremo a disposizione un numero ben maggiore di terapie intensive, e un sistema sanitario rodato e collaudato, anche in termini di cure. Ritengo che una nuova emergenza potrà essere gestita con lockdown circoscritti ai focolai.

In che misura inciderà la crisi covid sull’industria abruzzese, quali settori rischiano di pagare il conto più alto?

A inizio anno, prima dell’emergenza, i dati su fatturati, export e occupazione mostravano segnali positivi e incoraggianti. Ora in soli due mesi, siamo ripiombati in una crisi profonda. Tra i settori che destano più preoccupazione anche per le loro dimensioni e importanza, c’è innanzitutto il polo automotive, basti guardare i numeri ridicoli di immatricolazioni da marzo ad oggi. La preoccupazione è molto grande, non sarà facile mantenere gli attuali livelli occupazionali ed evitare delocalizzazioni, serve in questo caso un ruolo forte anche della politica. In secondo luogo il turismo ha subito colpo mortale e non ci sono ancora regole chiare su come e quando riaprire. Il rischio è il fatturato zero.

 

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