MAURIZIO ARDINGO COMMENTA LO STUDIO CRESA, ''FERME 90MILA IMPRESE E 263MILA LAVORATORI''; RIFONDAZIONE COMUNISTA: ''MANCATE CHIUSURE, LE DEROGHE E LE RIAPERTURE RISCHIANO DI VANIFICARE LOCKDOWN''

CORONAVIRUS: TRA STOP E AZIENDE IN CRISI, ‘PROBLEMA NON SONO PASSEGGIATORI ABUSIVI’

10 Aprile 2020 07:41

Regione - Cronaca

L'AQUILA – Il decreto Mise del 25 marzo 2020, emanato al fine di contenere e gestire l'emergenza epidemiologica dovuta al Covid-19, ha individuato le attività economiche ritenute non essenziali e ne ha sospeso l'operatività: di conseguenza in Abruzzo è stata sospesa l'attività di 263.459 lavoratori.
 
I dati che emergono dall'Ufficio Studi dell’Agenzia per lo sviluppo della Camera di Commercio dell’Aquila evidenziano un trend che potrebbe rivelarsi “devastante” per il territorio abruzzese. A commentare lo studio del Cresa oggi è Maurizio Ardingo, presidente azienda speciale Camera di Commercio.

Sul tema è intervenuta in una nota anche Rifondazione comunista che ha sollevato “qualche domanda sul reale impatto del Lockdown nel contenimento del contagio”, spiegando che “le mancate chiusure, le deroghe e le riaperture rischiano di vanificare quanto fatto” e che “forse il problema non sono i passeggiatori abusivi”.

“Partirei dal decreto del Mise del 25 marzo che tutti noi abbiamo imparato a conoscere per il semplice fatto che ha sospeso le attività economiche ritenute non essenziali sull’intero territorio nazionale. A fronte di questo Decreto i ricercatori del Cresa hanno effettuato un lavoro certosino e di qualità applicando i codici Ateco riportati nel decreto sulla attività produttive della nostra regione. Appena visto in anteprima lo studio mi è sembrato ben fatto e se oggi siamo qui a parlarne vuol dire che i ricercatori hanno fatto veramente un ottimo lavoro e per questo li ringrazio pubblicamente”, spiega. 

Le risultanze dello studio ci dicono che: 91.607 aziende in Abruzzo sono sospese, pari al 60,9% del totale della regione; 263.459 lavoratori in Abruzzo sono a riposo, pari al 61,4% del totale dell’occupazione in regione; altro dato interessante – aggiunge il presidente – riguarda le diversità delle quattro province abruzzesi, differenziate dalle varie specializzazioni settoriali e dalle dimensioni medie dell’aziende. 

IN TERMINI ASSOLUTI





La provincia di Pescara ha il maggior numero di imprese sospese 24.544 pari al 27,1% del territorio regionale; provincia di Chieti ha il maggior numero di addetti sospesi 86.648 pari al 32,9% del territorio regionale; da una prima riflessione sull’ultimo dato risulta chiaro che la provincia di Chieti sconta il fermo dell’intero indotto dell’Automotiv. 

Sulla provincia dell’Aquila il dato dei lavoratori a riposo è di gran lunga inferiore (46.731) anche per la presenza del polo farmaceutico non sospeso dal Decreto.

Differente invece la situazione a livello provinciale: Le province dell’Aquila e di Pescara hanno il maggior numero di imprese sospese, il dato si attesta intorno al 65%; le province di Teramo e Chieti hanno il maggior numero di addetti sospesi, il dato si attesta intorno al 63%; Come possiamo vedere più dei 2/3 del mondo produttivo in regione è fermo. 

“I settori economici sospesi dal decreto sino ad arrivare al blocco delle attività, sono: attività immobiliari, intrattenimento, attività sportive, commercio (alberghi, bar, ristoranti, pub), settore costruzioni, settore dei servizi, estrazioni minerali (anche se numericamente poche in regione) insomma un po’ tutta la filiera produttiva ritenuta non essenziale”, sottolinea ancora il presidente. 

L’Istat in una sua prima stima considera il fatturato delle imprese sospese in Abruzzo pari al 47%, pertanto al momento il 47% delle aziende sul territorio regionale non lavorano, non producono e chiaramente non fatturano. 

“I dati Istat aggiornati al dicembre 2019, non ci sono nuovi dati al momento, indicavano l’Abuzzo con un decremento del – 1,3%, considerando il settore manufatturiero in forte difficoltà, aspettiamo i nuovi dati (entro il mese di aprile), ma il trend non può che essere negativo”, conclude Ardingo.





Si tratta di “Numeri non proprio marginali che dovrebbero porre qualche domanda sul reale impatto del Lockdown nel contenimento del contagio. Ora non conosciamo se in questo studio sono compresi i lavoratori in smart working, se a questi vanno aggiunti o sono compresi i lavoratori delle imprese, alcune migliaia, che in Abruzzo hanno chiesto deroghe alle rispettive prefetture, e sono in produzione grazie al meccanismo del silenzio assenso”, scrivono in una nota Maurizio Acerbo, segretario nazionale Prc-Se e Marco Fars, segretario regionale Prc-Se Abruzzo.

“Prendendo per corretto il dato del Cresa, dobbiamo supporre che ogni giorno in Abruzzo si muovono per recarsi a lavoro 165.841 persone. A confronto, i dati forniti dalle prefetture sulle violazioni riscontrare dalle forze dell’ordine ai Dpcm e alle ordinanze dei sindaci, sono risibili”, aggiungono.  

“Spiace  – precisano nella nota – che stampa e tv stiano rincorrendo le notizie sui pochissimi trasgressori, con titoli a 4 colonne o foto schiacciate, che trasformano, in assemblamenti, semplicemente persone in fila alla posta o al supermercato. Nel mentre sul flusso quotidiano di persone che si recano a lavoro, sicuramenTe non tutte attività essenziali, è calato il silenzio. Figuriamoci sui sistemi di protezione all’interno delle fabbriche e sulla rimodulazione dei cicli produttivi. La sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro è la vera sicurezza per noi tutti”.

“Ribadiamo che è fondamentale che i sindaci e le Asl siano informati tempestivamente su ciascun territorio dei flussi e degli spostamenti delle persone per le produzioni essenziali e per le deroghe concesse. Le prefetture procedano con controlli massicci su tutte le produzioni attive. Al posto di 'passeggiatori', sarebbe molto più utile mappare il movimento di migliaia di lavoratori che tutti i giorni sono obbligati a muoversi per garantire le esigenze vitali di noi tutti e probabilmente anche di troppe produzioni assolutamente non indispensabili”, sottolineano.

“Ad oggi scarseggiano dispositivi di sicurezza per operatori sanitari e medici di base, le produzioni nazionali di Dpi non soddisfano neppure le quotidiane necessità, come si può garantire quegli stessi dispositivi a chi deve recarsi a lavoro? È vergognoso che decine di migliaia di imprese non essenziali stiano tentando di aggirare l'obbligo del fermo delle attività fregandosene altamente della salute dei propri dipendenti e dei sacrifici che l'intera comunità nazionale sta facendo per contenere il virus. Persino in provincia di Bergamo nonostante la strage in corso troppe imprese persistono in comportamenti socialmente irresponsabili. Occorre un’operazione trasparenza sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (ad iniziare dagli ospedali). È assurdo che si rendano pubblici i dati sui “passeggiatori abusivi” e non quelli relativi ai controlli sulle imprese (che non sono solo pub ed esercizi commerciali) e alle deroghe richieste”, concludono. (a.c.p.)

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