VIAGGIO NEL CRATERE/26. IL SINDACO CASSIANI: ''CHIODI, ATTENTO AI PICCOLI!''

CAPORCIANO, COMUNE CON VISTA LUNGA. SI PENSA GIA’ A SPOPOLAMENTO DI RITORNO

di Federica Tazza

7 Agosto 2011 07:21

L'Aquila -

CAPORCIANO – Di recente sono stati trovati resti di alcune tombe risalenti al periodo preistorico e medievale, tra cui quella di un guerriero del VI secolo a.C., ma per fortuna, oltre a questi straordinari ritrovamenti, il paese di Caporciano (L’Aquila), di quasi 255 anime, non ha avuto vittime dopo il sisma del 2009.

Il paesino, che fa parte della Comunità montana Campo Imperatore-Piana di Navelli, è adagiato, sin dal Medioevo, su un altopiano, posizione che, in tempi di invasioni, gli consentiva il dominio su gran parte della zona sottostante e in tempi più recenti, probabilmente, ha contribuito a far rimanere in piedi il patrimonio abitativo.

Il terremoto qui si è sentito, anche se non come nelle zone vicino all’epicentro, e la popolazione, come le altre, sta cercando di riappropriarsi della propria quotidianità, come spiega il sindaco del piccolo borgo, Ivo Cassiani.

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Quante vittime e quali danni ha fatto il terremoto?

Il terremoto di quel 6 aprile, per fortuna, non ha fatto nessuna vittima. Nessuna vittima e pochi crolli per quanto riguarda la zona più nuova del mio comune. Solo la parte più antica del borgo ha subìto qualche crollo, anche se quasi la metà delle case è inagibile, precisamente il 46 per cento delle abitazioni nella zona che va da Caporciano alla frazione di Bominaco.





Come è stata risolta l’emergenza abitativa?

Dopo le tendopoli, con 19 Map (moduli abitativi provvisori, ndr), di cui 15 a Caporciano e 4 a Bominaco, la frazione adiacente. Per le case “B” e “C” abbiamo fatto una cinquantina di interventi permettendo a parecchie famiglie di rientrarci. Ma qualcuno è rimasto fuori e ha dovuto rimediare per conto proprio. Al momento le persone rimaste in autonomo sono circa una quindicina, perché le case in affitto ora costano troppo, e i fondi che ci spettano dalla Protezione civile non bastano, quindi la gente preferisce fare da sè.

Quali sono le condizioni della “zona rossa”? Potrà essere ristretta a breve?

La “zona rossa” è stata circoscritta a una piccola zona nel centro più vecchio del paese, che era già in parte disabitata, dove qualche edificio è crollato. Ora stiamo facendo un progetto pilota, sperando che il commissario per la ricostruzione lo finanzierà, con l’aiuto dell’Università di Pescara che ne sta curando il piano di ricostruzione. Il progetto mira a eliminare la “zona rossa”, che è la parte più vecchia e abbandonata del paese, migliorando così la viabilità per l’accesso alla zona, e comprende quindi sia l’urbanistica che le abitazioni.

I piani di ricostruzione sono uno strumento ormai obbligatorio. A che punto è nel suo Comune?

Siamo in una fase avanzata, grazie alla facoltà di Architettura di Pescara che, già dal maggio 2009, collabora con noi. Il piano dovrebbe essere presentato definitivamente entro Natale, e le progettazioni sono già a un buon livello, quindi contiamo di far partire i progetti aggregati da gennaio-febbraio.





A oggi, qual è il problema più urgente da affrontare?

Dopo il terremoto c’è stato un cospicuo incremento della popolazione grazie a molte persone che tornavano dall’Aquila perché avevano qui una seconda abitazione. Ora temiamo che in un futuro, una ricostruzione più avanzata nel capoluogo possa originare uno spopolamento nel nostro piccolo comune, perché se non riusciamo a fare un progetto integrato per lo sviluppo che riguardi tutta l’area piana di Navelli l’economia verrà danneggiata. Stiamo mettendo insieme università e professionisti fra tutti i nostri Comuni, evitando i localismi. Tutti noi vogliamo una zona artigianale e commerciale, ma dobbiamo essere uniti, condividere, perché ogni paese dell’area, preso singolarmente è troppo piccolo, dobbiamo ragionare in un campo più ampio.

Cosa vorrebbe dire al commissario per la ricostruzione?

Di avere più attenzione per noi piccoli Comuni. Spesso, quando si fanno le ordinanze, si fanno parlando troppo ai grandi centri. Dobbiamo ricordarci che noi piccoli, insieme, abbiamo la stessa popolazione che abita L’Aquila

Quanto ci vorrà per la ricostruzione del paese?

Diversi anni. In cinque o sei speriamo di poter fare la maggior parte del lavoro. Ma onestamente, temo che impiegheremo una decina d’anni per tornare alla normalità. Appena dopo il sisma pensavamo di poter risolvere la situazione in poco tempo, ma ci siamo dovuti ricredere, non per la gestione che il governo ha fatto, e neanche per i fondi. Il problema è che se i 48 aggregati presentano tutti insieme i progetti non possiamo riuscire a rispondere a tutti contemporaneamente.

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