CANONI IDROELETTRICI: GOVERNO CONTRO AUMENTI, IMPUGNATA LEGGE REGIONALE

di Filippo Tronca

9 Giugno 2016 07:00

Regione - Cronaca

CHIETI – Non c'è niente da fare: la Regione Abruzzo non riesce a portare a casa una norma che consentirebbe di incassare 35 milioni di euro dai canoni idroelettrici, invece degli attuali 10 milioni. Da usare, si era detto, per finanziare il reddito mimino di cittadinanza per disoccupati e inoccupati.

Il Consiglio dei ministri del 31 maggio ha infatti deliberato l'impugnazione anche dell'ultima legge in materia, la numero 11 del 2016, approvata in Consiglio regionale ad aprile dopo vari rimaneggiamenti, polemiche e dietro front durati più di un anno.

Per il governo sarebbe incostituzionale il calcolo del canone per l’uso idroelettrico introdotto, che triplicherebbe l'importo rispetto a quello applicato in altre regioni, discriminando le imprese operanti in Abruzzo, in contrasto però con i principi in materia di tutela della concorrenza sanciti dall'articolo 117 della Carta.

Contattato da Abruzzoweb il sottosegretario della Presidenza con delega all'Ambiente Mario Mazzocca, di Sinistra ecologia e libertà, spiega che sta studiando in queste ore l'impugnazione, e che per il momento preferisce non rilasciare dichiarazioni.





La partita dei canoni idroelettrici come già raccontato da Abruzzoweb era iniziata con la legge del 2012 a firma dell'allora consigliere regionale Franco Caramanico, anche lui del Sel, che aveva fissato i canoni non più sulla potenza nominale media, con una tariffa fissata in 27,5 euro per kilowatt, ma in base al parametro della “potenza efficiente”, con una tariffa pari a 35 euro a kilowatt, parametro introdotto dal gestore dei servizi elettrici (Gse) al fine di avere un valore di potenza più attendibile e più vicina a quella realmente installata.

Visto che i megawatt prodotti in Abruzzo sono 1000,2 gli incassi con il nuovo calcolo per la Regione sarebbero schizzati da circa 10 a 35 milioni di euro l'anno.

Il governo ha però impugnato la legge, ma la Corte costituzionale nell'aprile 2014 gli ha dato torto. Poi però stranamente la legge non è entrata in vigore, con il conseguente innalzamento del canone, e nel novembre 2015 è stata a sorpresa modificata, e questo ha consentito al governo di impugnarla nuovamente. A fine dicembre, è stata approvata una terza legge, che tornava all'impianto originario, accompagnata però da un emendamento che di fatto congelava la possibilità di incassare almeno per il 2016 i canoni maggiorati, in attesa di una loro quantificazione e concertazione. Anche questa legge è stata impugnata, e stessa sorte è ora capitata alla legge 11 approvata ad aprile. Che mantiene come parametro di calcolo la “potenza efficiente”, ma cancella il riferimento alla quantificazione del Gse e stabilisce che in attesa di una ricognizione da parte di un ente da individuare, si continueranno a pagare le vecchie tariffe. Oltre che probabilmente incostituzionale, insomma anche l'ultima legge avrebbe lasciato le cose come stanno.

C'è ora chi accusa dunque il governo nazionale, ma anche l'operato della maggioranza e quello dell'opposizione di centrodestra in Consiglio regionale, di sostenere di fatto la fiera opposizione da parte della Confindustria, e degli operatori del settore, all'ipotesi di aumento dei canoni idroelettrici, che avrebbero, si argomenta, effetti nefasti sull'occupazione e sui futuri  investimenti.





Il firmatario della prima legge, Caramanico, oramai ai ferri corti con il suo collega di partito Mazzocca, ribadisce a piè sospinto che la soluzione c'è ed molto semplice: ripristinare così com'è la legge del 2012, e cancellare tutte quelle che sono venute dopo, per il semplice fatto che è già passata al vaglio della Consulta ed è stata già giudicata costituzionale. E quindi il governo verrebbe messo sotto scacco, non potendola impugnare una seconda volta. Ma evidentemente, sospetta Caramanico, non c'è la volontà politica di farlo.

L'argomentazione del governo nella nuova impugnazione alla Corte costituzionale resta sempre la stessa: la norma ha l’effetto di “alterare le condizioni concorrenziali sul territorio nazionale, discriminando gli operatori idroelettrici insediati in Abruzzo”.

Con il metodo di calcolo previsto nella legge abruzzese, infatti, un impianto di grandi dimensioni con potenza media di concessione pari a 50 megawatt, si ritroverà ad avere una potenza efficiente di circa 150 megawatt. Pagando dunque un canone triplo rispetto a quello applicato in altre regioni.

Di conseguenza “la disposizione incide fortemente sulla capacità di operare in pari condizioni sul mercato unico dell’energia elettrica, perché le imprese operanti in Abruzzo, andrebbero a competere con analoghi impianti che avendo, invece, un canone molto più basso sono in grado di offrire sul mercato dell’energia prezzi più bassi di quelli degli impianti abruzzesi”.

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