ANTICHE CERAMICHE DI CASTELLI, UNA DOMUS ROMANA: ARTE E STORIA ALLA SEDE TERCAS DI TERAMO

di Eleonora Marchini

28 Febbraio 2018 11:30

Teramo - Cultura

TERAMO – Una collezione di ceramiche di Castelli, le più antiche risalenti al XVI secolo, a fare da cornice a una Domus di epoca romana valorizzata con un gioco di cristalli a pavimento e scalinate in acciaio cor-ten: varcando la soglia di Palazzo Melatino, in pieno centro storico di Teramo, sede della fondazione Tercas, si viene proiettati in un ambiente il cui unico e prezioso arredo sono appunto i reperti di un passato antico di duemila anni. 

I pezzi unici in ceramica sono stati realizzati dai maestri artigiani di Castelli (Teramo) e sono appartenuti alle collezioni delle famiglie Gliubich da Sulmona (L’Aquila) e Orsini Colonna in prestito dalla Banca Tercas, oltre a una serie di mattonelle XVIII secolo donate alla Fondazione dalla signora Mirella Rosa Nisii.

Una parte consistente della collezione di ceramiche di Castelli, Orsini-Colonna, da 150 anni è esposta in un luogo ben lontano: le sale del museo Hermitage di San Pietroburgo, in Russia, opere rientrate in Italia per un breve tour nel 2007, in mostra tra palazzo Venezia a Roma e proprio la sede della Fondazione, a Teramo.

Il caso “strano” è che si possono costeggiare le mura in pietra di quella che era chiamata la Casa dei Melatino, famiglia feudale di corrente ghibellina, edificio risalente con ogni probabilità al 1236, secondo atti notarili e documenti storici, e non accorgersi di quale sorpresa si nasconde al suo interno. 

Gli archi gotici, le bifore, i resti al piano terreno di un antico portico, di per sé basterebbero a incuriosire il turista che, ignaro, si trovasse a passare per i vicoli stretti e colorati di mattoncini rossi del centro storico dell'antica Interamnia. 

“C’è stato un restauro e un recupero totale della struttura – come spiega ad AbruzzoWeb, Fiore Zuccarini, responsabile dell’ufficio comunicazione e relazioni esterne della Fondazione Tercas – che era in completo abbandono ed è stata acquistata dalla Fondazione per una cifra non elevatissima, nel 1996, dalla famiglia Savini che ne era proprietaria dal XIX secolo”.





L’incarico per la progettazione è stato affidato attraverso un concorso nazionale, il Premio Tercas Architettura, vinto da un team di professionisti romani: Gabriella Colucci, Roberto Mariotti, Massimo Martini, Patrizia Nicolosi, Elisabetta Avallone e Laura Moro con la consulenza del professor Giovanni Carbonara per il restauro e dell’ingegner Franco Verzaschi per la parte strutturale e impiantistica.

I lavori di ristrutturazione sono costati circa 6 milioni di euro e proprio durante lo scavo delle fondazioni si è avuta la sorpresa del ritrovamento di una porzione importante di una villa di epoca romana: pavimento a mosaico con l'individuazione di ben due strati, uno più antico fatto di disegni e minuscole tessere smaltate; uno strato di pavimento successivo, a mattonelle più regolari, più superficiale che racconta le modifiche subite dalla villa nel corso degli anni, così come “la chiusura del portico su strada sopravvenuta a modificare l’assetto medievale originario del palazzo Melatino” secondo la relazione dei tecnici.

Un ritrovamento archeologico, che si aggiunge alle tante testimonianze di epoca romana presenti nel centro storico di Teramo, e che è espressione di un ceto sociale abbiente, a giudicare dalle vasche decorate che dovevano far parte delle sale da bagno, e dagli accorgimenti utilizzati nella costruzione. 

Arte da valorizzare, da portare a conoscenza dei cittadini, dei turisti, degli appassionati e dei curiosi.

Le vetrine illuminate a contorno della domus, al piano terreno, e la pavimentazione in cristallo che lascia godibile l’intero scavo alla vista del visitatore, sono il simbolo di un restauro conservativo e esempio di come i ritrovamenti archeologici possano accrescere il valore di una struttura o di un luogo: le opere d’arte di Castelli sono la nota di colore, le anfore, i recipienti per le spezie e gli orci per l'acqua e il vino, i piatti e le formelle dipinte con colori delicati e raffiguranti scene bucoliche e paesaggi. 

Immagini di vita quotidiana riportate con il tocco sapiente dei maestri ceramisti che hanno conteso fin dal 1300, il primato alla cittadina umbra di Deruta (Perugia). 

“Si tratta di un'esposizione permanente, l'ingresso è libero – precisa Zuccarini – C'è da dire che questa sede non è un museo quindi non ci comportiamo come tale” anche se ogni angolo del palazzo è un gioiello da scoprire, come il cortile al quale si accede dal piano superiore e che affaccia sul duomo di Teramo e sui tetti del centro.





Lacerti e riusi, tra cui un'anfora intera, sono gli intarsi nel muro di una casa adiacente, costruita a ridosso di palazzo Melatino, e che chiude il quadrilatero della recinzione in muratura restaurata e ripulita.

Non c’è una guida a illustrare le stanze e le collezioni esposte, come le ceramiche del Novecento nelle vetrine del piano superiore, dono dell’artista teramano Serafino Mattucci, scomparso qualche anno fa: pezzi che evocano immagini e sentori di Africa e tropici.

“Ognuno di noi – commenta sorridendo il direttore – diventa o si improvvisa cicerone, nei ritagli di tempo che ci concede il nostro lavoro in Fondazione, che, ricordiamo, non è una banca e comunque non un museo. Anche se le opere sono esposte in modo permanente e l’ingresso ai visitatori è libero”.

La Fondazione Tercas ha finanziato il restauro di alcune opere d’arte come il pavimento del Duomo di Teramo e quello del Duomo di Atri, cittadina ducale sempre nella provincia teramana.

Quanto alla promozione e alla valorizzazione del patrimonio artistico, cui pure la Fondazione, negli intenti statutari partecipa, si potrebbe fare di più “Teramo non è rientrata nella short list per la candidatura a città della cultura., ma l’invio della candidatura è stato un momento comunque di progettualità corale, che ha costretto città e le istituzioni a confrontarsi e a pensare una strategia di promozione culturale per la città stessa”.

L’ultima chicca: nelle stanze direzionali, un ritratto del Cinquecento, del cardinale Giulio Acquaviva, attribuito alla scuola di Tiziano Vecellio, donato alla fondazione da una discendente della nobile famiglia atriana. 

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