”VOLEVO SALVARE UN BORGO MA FALLIRO”’, LA DENUNCIA AMARA DI UN’IMPRENDITRICE

2 Giugno 2015 17:52

L'Aquila -

L’AQUILA – “La mia azienda fallisce e con essa anche la possibilità di fare rivivere un pezzo della storia d’Abruzzo”.

È quanto scrive in un’accorata lettera ad AbruzzoWeb Maria Cinzia Foglia, avvocato pescarese che circa un decennio fa ha avviato con il marito l’azione di recupero del borgo “Le Pagliare del Colle”, nel Comune aquilano di Ofena.

Ma come racconta, tra burocrazia che rallenta ogni cosa, banche titubanti e amministrazioni assenti e pronte a cambiare idea, il suo sogno si è trasformato in un incubo e ora rischia pignoramenti e azioni giudiziarie.

LA LETTERA COMPLETA

Il mio nome è Maria Cinzia Foglia e le scrivo per rappresentarle una situazione paradossale, che con la mia impresa e la mia famiglia stiamo vivendo oramai da qualche anno, e che oggi precipita definitivamente.

Alla ricerca di un vecchio casolare da recuperare per uso personale, nel 2006 abbiamo scoperto, nell’entroterra aquilano, tra i comuni di Ofena e Capestrano, un vecchio ma straordinario borgo abbandonato e disabitato da oltre un secolo, utilizzato dai pastori pugliesi durante la transumanza estiva per il ricovero proprio e delle greggi.

Il Borgo Le Pagliare del Colle, nel comune di Ofena, all’interno del territorio protetto del Parco del Gran Sasso.





Circa 25 piccole casette, per lo più a due piani, composte da una stalla al piano terreno e un vano al piano superiore che fungeva da camera e cucina, alcune delle quali dotate di grotta sotterranea per la conservazioni dei formaggi. In tutto circa 3.000 metri quadrati di immobili adagiati su una superficie verde di 20 mila metri quadrati di terra.

Innamorati della bellezza del luogo, del contesto, della sua storia, è maturata l’idea di realizzare un progetto di recupero per il riuso a fini ricettivi del borgo.

Dall’idea, quindi, di comprare una piccola casetta di campagna, siamo passati al progetto di fare rivivere un pezzo d’Abruzzo. Era l’anno 2006.

Diversamente dal più e meglio noto borgo di Santo Stefano di Sessanio, anche per la nostra modesta disponibilità economica personale da mettere in campo, rispetto alla prima, abbiamo costituito (con mio marito, entrambi non abruzzesi), senza mai fare rumore mediatico, un’impresa, e mettendo in gioco tutte le economie nostre e delle nostre famiglie, abbiamo avviato dapprima l’acquisizione e successivamente il recupero del sito (da maggio 2008), esclusivamente puntando al riuso attento delle tecniche e dei materiali dell’epoca senza tralasciare le innovazioni progettuali e tecnologiche più avanzate e moderne.

Per realizzare il nostro progetto abbiamo sottoscritto, nel 2007, un apposito accordo quadro con il Comune di Ofena e il Parco Nazionale del Gran Sasso, attraverso il quale, l’amministrazione Comunale si impegnava entro 12 mesi a garantire la necessaria strumentazione urbanistica, il Parco ad aiutarci a mantenere l’integrità naturalistica dell’area, e la nostra società a eseguire l’intervento  conformemente alla naturalità del luogo, e a realizzare le opere di urbanizzazione necessarie (normalmente accade il contrario!, queste opere le offre l’Ente pubblico a chi realizza un progetto di recupero e valorizzazione sul territorio).

Il nostro progetto ha convinto un noto istituto bancario nazionale che ci ha supportato finanziariamente per alcuni anni, ritenendo tuttavia a un certo punto si sospendere e revocare ogni forma di aiuto. Perché?

Il Comune che dapprima (gennaio 2008) ci ha rilasciato le concessioni edilizie per il recupero, in attesa di una variante al piano, ci ha bloccato i lavori dopo soli 3 mesi dal primo rilascio (marzo 2008) su richiesta del Parco (per il quale, mancando il Piano, non si poteva intervenire), per poi riconcedere le autorizzazioni parziali dopo 3 mesi; il Parco ci ha bloccato subito dopo una parte dei lavori sostenendo che, in attesa delle varianti, quelle case non potevano essere dotate di impianti e servizi igienici.

Infine, il Comune ha approvato il piano con la ridestinazione d’uso, ma “solamente” dopo 6, infiniti e stremanti, anni di attesa che ben presto si è trasformata in agonia.





Risultato? La banca che nel frattempo aveva dapprima bloccato, ha poi revocato definitivamente i mutui concessi, per mancanza del Piano (6 anni sono impossibili per chiunque, anche per una grande banca. ma la stessa banca aveva dapprima e per ben due volte concesso quanto richiesto, anche in assenza di quel piano. Troppa fiducia nel Comune? O errore iniziale di valutazione?).

La Regione, che ne frattempo aveva concesso un contributo tramite la partecipazione a un avviso per interventi di recupero e ridestinazione d’uso nell’area del cratere del sisma del 2009, ha, anche dopo lunghe attese di un risultato mai arrivato (il completamento dei lavori!)  revocato il finanziamento concesso, che, se pur modesto, rispetto all’insieme, sarebbe stato di grande aiuto.

I fornitori, che pazientemente hanno atteso anni per ottenere il dovuto sui lavori realizzati, non sono più in grado di attendere e minacciano le conseguenti azioni per il recupero.

Conclusioni? La banca ha avviato in questi giorni le azioni giudiziarie per il recupero, i fornitori lo faranno a brevissimo, il Comune ha ora il suo splendido Pre, il Parco tace, i lavori, già realizzati per circa il 70% del complessivo previsto, sono fermi da oramai più di tre anni e forse per sempre, e noi (io e la mia famiglia) siamo in attesa che suoni il citofono di casa per la notifica degli atti di pignoramento dei nostri beni personali.

Magari andremo a vivere in uno dei casali semi-ristrutturati (almeno una parte del nostro sogno sarà realizzato), almeno fino a quando, anche da li non ci sfratteranno, dopo la vendita giudiziaria degli stessi.

Ops! Ma in quelle casette mancano i servizi igienici e gli impianti (quelli i cui lavori furono bloccati dal Parco)! Già, ma i pastori nel secolo scorso non avevano wc e luce in quelle case!

Spero che questa mia/nostra storia possa essere resa pubblica tramite la sua testata, e che serva da monito non tanto alle “perennemente sorde e cieche Istituzioni” (che usano invece spesso e male il dono della “parola”!), ma soprattutto a chi avesse la nostra stessa di voglia di “intraprendere” in questa Regione.

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