VIAGGIO NEL CRATERE/34. IL SINDACO COLAGRANDE SI ARMA DI PAZIENZA

VILLA SANTA LUCIA: POCHI ABITANTI, TANTE MACERIE

di Laura Biasini

26 Novembre 2011 08:01

Regione - Gallerie Fotografiche

VILLA SANTA LUCIA DEGLI ABRUZZI – Si arma di pazienza Maria Pia Colagrande, sindaco di Villa Santa Lucia (L’Aquila), uno dei pochi comuni che non ha avuto bisogno di tirare su le “casette” provvisorie: i cittadini, infatti, si sono dati una mano a vicenda e chi aveva perso la casa è andato ad abitare nelle seconde abitazioni di chi vive fuori.

Villa Santa Lucia è anche uno dei primi comuni ad aver chiuso la tendopoli. Abitato da circa 150 anime, potrebbe rappresentare un simbolo del legame della gente al territorio di origine.

Nonostante la burocrazia ritardi inevitabilmente le procedure di ricostruzione, il sindaco resta fiducioso e ottimista e invita il commissario, Gianni Chiodi, a “continuare a lottare per ottenere il più possibile e a battersi per accelerare le pratiche amministrative”.

Quante vittime e quali danni ha fatto il terremoto?

Fortunatamente non ci sono state vittime, né feriti. I danni purtroppo sono stati numerosi, in particolare nel centro storico, dove si arriva sino al 70 per cento di classificazioni “E”. Le lesioni più gravi hanno riguardato gli edifici fatiscenti, già fragili prima del sisma. Le case che erano state ristrutturate, come la mia, hanno risposto bene alle scosse e si sono salvate. Anche l’acquedotto ha riportato alcuni danni. Nella periferia del paese, invece, c’è una prevalenza di “A” e “B” e alcune “C”.

Per quanto riguarda il patrimonio artistico solo la chiesa di San Rocco ha riportato danni lievi, mentre le chiese di Santa Lucia, San Nicola, Santa Maria delle Vicenne e San Carlo di Carrufo sono gravemente lesionate. Per quest’ultima il progetto è già stato approvato, speriamo che in estate possa essere riaperta ai fedeli.

Com’è stata risolta l’emergenza abitativa?





Nell’immediato post-terremoto abbiamo allestito una tendopoli nel campo di bocce del paese, una struttura al coperto che ha ospitato la popolazione in quei primi giorni drammatici. Grazie al prezioso aiuto prima della Protezione civile della Regione Marche e poi di altre divisioni che si sono alternate nel corso del tempo, abbiamo avuto a disposizione le attrezzature utili per riscaldare il capannone.

Bisogna considerare che il nostro è stato uno dei primi comuni a chiudere la tendopoli perché siamo riusciti a sistemare gli abitanti nelle seconde case “A” messe a disposizione da quei cittadini che risiedevano già altrove o che, sull’onda del clima di paura, hanno preferito non tornare a vivere a Villa Santa Lucia. Siamo quindi riusciti a risolvere autonomamente la problematica del post-terremoto.

Quali sono le condizioni della “zona rossa”? Potrà essere ristretta a breve?

Il problema della nostra “zona rossa” è limitato a due situazioni: una zona nella quale ci sono solo due abitazioni da riparare, in cui i proprietari sperano di rientrare il più presto possibile; e tutta un’area già fatiscente prima del 6 aprile 2009. Questa zona va demolita, ma ancora non c’è l’ordinanza per la rimozione delle macerie. Aspettiamo sei demolizioni parziali. Ci auguriamo che i tempi non siano troppo lunghi.

A ogni modo, dai sondaggi geologici della “zona rossa”, il suolo risulta sufficientemente stabile, a riprova del fatto che i crolli sono stati causati esclusivamente dalla fragilità delle strutture che non erano state sottoposte alle necessarie opere di ristrutturazione e consolidamento. Di conseguenza non abbiamo previsto in nessun caso opere di delocalizzazione. Il nostro obiettivo rimane quello di preservare il borgo storico nel suo originario splendore.

I piani di ricostruzione sono uno strumento ormai obbligatorio. A che punto è il suo Comune?

Siamo molto avanti. Già l’anno scorso abbiamo sollecitato i privati affinché si costituissero in aggregato in tempi ristretti. Su 52 consorzi ne abbiamo già circa una quarantina. Ne manca ancora una decina dal momento che i proprietari delle abitazioni sono difficilmente raggiungibili perché all’estero.

Nonostante ciò siamo fiduciosi. Entro la metà di novembre concluderemo il primo step del piano di ricostruzione, il secondo a gennaio e da marzo-aprile dovremmo procedere con il piano completo. Se il flusso dei finanziamenti si manterrà costante e se i tempi di Provincia e Regione non saranno eccessivamente lunghi, i lavori potrebbero prendere il via già dall’estate prossima.





A oggi qual è il problema più urgente da affrontare?

Senza dubbio la rimozione delle macerie, ma il problema forse maggiore al momento è rappresentato dalla burocrazia che, seppure, indispensabile per garantire la legalità, costituisce tuttavia un freno all’opera di ricostruzione. Sarebbe necessario accelerare i tempi.

A tal proposito bene ha fatto il commissario Chiodi a emanare una norma per la quale le integrazioni si possono chiedere una sola volta, snellendo così la procedura per istruire le pratiche.

Cosa vorrebbe dire al commissario per la ricostruzione?

Di non demordere, di continuare a lottare per ottenere il più possibile e di continuare a battersi per accelerare la ricostruzione.

Quanto ci vorrà per ricostruire il suo paese?

È una domanda prematura. Parliamo di 52 aggregati. Si potrà rispondere quando sarà completato il piano di ricostruzione. Solo allora saremo in grado di fare una stima attendibile dei tempi e dei costi. Oltretutto è necessario considerare che nei piccoli paesi i tempi sono necessariamente più lunghi rispetto alla città, dal momento che l’assetto urbanistico caratteristico delle strutture medievali impone di procedere un cantiere per volta, a causa delle strade strette e dei vicoli angusti. Credo che nessuno al momento sia in grado di dare una risposta attendibile.

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