I CUGINI DEL RETTORE: ''APRI' LA CASSAFORTE DI NOSTRO ZIO DON GIUSEPPE''

TESTAMENTO CONTESO, GUAI PER DI ORIO ”APPROPRIAZIONE INDEBITA”, DENUNCIATO

di Alberto Orsini

15 Maggio 2012 20:01

L'Aquila - Cronaca

AVEZZANO – Scontro sull’eredità di don Giuseppe Di Iorio, storico sacerdote di Avezzano (L’Aquila) scomparso nei primi mesi del 2009: una vicenda singolare in cui è coinvolto un nome importante, il rettore dell’Università dell’Aquila, Ferdinando Di Orio, nominato erede universale del prete, ricevendo come lascito una discreta fortuna in soldi e immobili.

Attraverso suo figlio Romolo Calisi e in rappresentanza anche di alcuni nipoti di don Giuseppe, la sorella del religioso scomparso, Elvira Di Iorio, zia del rettore, ha denunciato infatti Di Orio per appropriazione indebita, accusandolo di aver detto ad altri parenti di aver aperto la cassaforte del religioso. A dicembre la magistratura deciderà se procedere in questo senso, come conferma l’avvocato Raffaele Tolli.

“Stiamo curando questa vicenda legale, vedremo quali saranno gli sviluppi”, commenta.

Una controversia legale che capita in un momento già complicato per l’ex senatore, indagato per abuso d’ufficio e truffa nell’ambito dell’inchiesta della procura della Repubblica dell’Aquila sui maxi affitti pagati dall’Ateneo per ricollocare le facoltà semidistrutte dal sisma.

E come se non bastasse, il rettore è anche alle prese con lo spinoso caso della “proroga-bis” del suo mandato, che dovrebbe scattare in base all’interpretazione di un codicillo della riforma Gelmini sull’adozione del nuovo statuto. Anche qui è battaglia legale, ai giudici amministrativi del Tar.





Oltre ad accusare Di Orio di appropriazione indebita, la famiglia Di Iorio non accetta il verdetto del testamento aperto tre anni fa e datato 2006 che lascia tutti gli averi di don Giuseppe al rettore: un documento che viene ritenuto “contraffatto e illegittimo” e che per questo è stato impugnato in sede civile con la richiesta di nullità.

IL TESTAMENTO

L’eredità è abbastanza cospicua: 100 mila euro di titoli bancari, 60 mila euro in contanti, un’abitazione ad Avezzano di 130 metri quadrati e una villetta di tre piani a Marano dei Marsi (L’Aquila), oltre a un terreno con una casa in costruzione.

Curiosa la piccola differenza di cognome tra le parti in causa: il rettore ha una “I” in meno rispetto ai suoi parenti, “quello che a noi risulta in famiglia è che sia dovuta a un errore di trascrizione anche se non ci sono certezze su questo e non è mai stato fatto nulla per riparare l’errore”, spiega il cugino Calisi.

“Com’è possibile – si chiede il figlio di Elvira Di Iorio entrando nel merito – che mio zio si sia dimenticato di mia madre? Lei è la prima erede diretta e lo ha assistito dal 1992, quando è morto mio padre, fino a quando don Giuseppe ha cominciato ad avere problemi di salute, cardiocircolatori e mentali. Eppure nel testamento non viene citata neanche una volta: né un riconoscimento economico, né un ricordo e nemmeno un semplice grazie”.

L’uomo è sicuro che in quel documento ci siano molte cose che non vanno. “Correzioni di cifre, parole sbagliate, aggiunte e modifiche nella parte finale – sbotta – Solo a vederlo il sangue mi è andato in testa. Abbiamo chiesto una perizia per vedere se sono intervenute altre mani e, soprattutto, se quella firma è autentica”.





“Mio zio – ricorda infatti Calisi – firmava scrivendo prima il cognome e poi il nome, quel testamento invece è firmato con nome e cognome. Chiunque abbia visto la sua vera firma e ha visto questa dice che non è stata scritta dalla stessa persona”.

LO STATO DI SALUTE E LE DUE VERITA’

C’è poi il giallo sulle condizioni di salute del sacerdote al momento della stesura del testamento, nel 2006.

“Ci risulta – prosegue Calisi – che mio cugino (appunto Di Orio, ndr) poco prima della data del testamento abbia presentato, non so dire però quando o come, un certificato di un medico aquilano che attesterebbe la sanità mentale di mio zio”.

“Che motivo c’era di farlo? – si chiede – E poi, noi abbiamo altre certificazioni, del medico curante di mio zio, che lo ha tenuto in cura per dieci anni, Giuseppe Di Matteo, che attestano come più di un anno prima del testamento mio zio già ricorresse a cure per la demenza senile assumendo alcuni farmaci. Chi dei due medici ha torto?”.

LA CASSAFORTE

Quanto alla cassaforte, Calisi ricorda che “dopo l’apertura del testamento, Di Orio disse ad altri parenti di averla aperta. Come ha fatto? Non lo sappiamo, ma per noi c’è stata appropriazione indebita. Lì dentro c’erano altri soldi, oggetti e soprattutto il testamento, quello vero”.

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