SI TRATTA DELL'INGEGNERE FABRIZIO CIMINO, ACCUSATO DI OMICIDIO COLPOSO

TERREMOTO: CROLLO CON 13 VITTIME, CONDANNATO A 3 ANNI E 6 MESI

20 Febbraio 2014 16:11

L'Aquila -

L'AQUILA – L’ingegnere aquilano Fabrizio Cimino è stato condannato a 3 anni e 6 mesi di carcere per omicidio colposo plurimo e lesioni nell’ambito del processo per il crollo in via D’Annunzio la notte del 6 aprile 2009, stabile costruito nel 1963, in cui ci furono 13 vittime.

Questa la decisione del giudice del tribunale dell'Aquila Giuseppe Grieco su uno dei filoni più dolorosi e controversi della maxi inchiesta sui crolli della procura della Repubblica, composta di oltre 200 filoni di indagine.

Un verdetto che è stato accolto dal pianto commosso dei familiari di alcune delle giovani vittime di quell'edificio, non moltissimi ma comunque presenti, che poi si sono allontanati senza rilasciare dichiarazioni.

Una volta stabilito il suo destino, Cimino, visibilmente shockato dalla condanna, si è rifiutato di stringere la mano al pubblico ministero Fabio Picuti, contrariamente a quanto fatto dalla moglie e dal suo avvocato, Stefano Rossi.

Quest'ultimo nell'udienza di questa mattina aveva tenuto un'arringa difensiva tutta all'attacco, di un'ora e mezzo, contestando le risultanze della perizia che ha portato il suo assistito alla condanna stilata dalla consulente del giudice Gabriella Mulas.

“L’intervento sui sei pilastri non ha avuto conseguenze causali nel crollo”, aveva provato a ribadire l’avvocato Rossi nella sua arringa, facendo notare che “se avesse dovuto fare tutto quello contenuto nella relazione Mulas” nel corso dell’operazione di restauro, quest’ultima “sarebbe costata come tutto il palazzo”.

Cimino è stato condannato anche all'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, al risarcimento dei danni da stabilire in una separata causa civile e a numerose provvisionali per un valore di circa 500 mila euro.

L'altro imputato, l’ingegnere molisano Fernando Melaragno, è stato invece assolto dalle stesse accuse per non aver commesso il fatto. Era assistito dall'avvocato Paolo Vecchioli.





La richiesta del pm Picuti era stata di 4 anni per Cimino e l'assoluzione per Melaragno. Le motivazioni del giudice Grieco arriveranno entro 90 giorni.

“Nulla da dire su questa sentenza – si è limitato a commentare poi l'avvocato Rossi – La mia lunga arringa non è servita? Vuol dire che mi ripeterò in appello, raddoppio il tiro”. Alberto Orsini


(Da sinistra il condannato Cimino, l'avvocato Rossi (di spalle), la moglie di Cimino e l'avvocato Vecchioli)

LE REAZIONI

MULAS: “SE UN TECNICO SCOPRE UN PROBLEMA LO DEVE SEGNALARE”

“Un’altra famiglia nella bufera, si aggiunge dolore senza lenirne un altro”, è il commento a poche ore dalla sentenza del perito Mulas ad AbruzzoWeb, che rivolge un pensiero anche al condannato (grazie al suo lavoro) e ai suoi familiari.

Nel merito delle contestazioni mosse alla sua perizia, la prof si limita a ricordare che “se un tecnico mette le mani su un edificio che ha un serio problema costruttivo non è obbligato a fare altri lavori ma deve quantomeno segnalare ai proprietari che il problema c’è e poi su quell’edificio non ci mette mano”.

“Se lo avessero saputo, quei ragazzi probabilmente non sarebbero rimasti”, conclude.

L'INCHIESTA

Sia Cimino che Melaragno sono stati indagati e quindi rinviati a giudizio per presunti errori nella ristrutturazione del palazzo avvenuta nel 2002.

Documento cardine di questo procedimento è una perizia affidata dal giudice Grieco al docente di Scienza delle costruzioni del Politecnico di Milano Gabriella Mulas, già autrice nell’altro processo sul crollo della Casa dello studente del documento che ha portato lo stesso pm a chiedere condanne ma anche assoluzioni.





Su questa perizia nelle udienze precedenti c’è stato spesso scontro in aula con le difese, in particolare con il consulente della difesa Franco Braga, docente di Tecnica delle costruzioni all’Università “La Sapienza” di Roma, ex sottosegretario alle Politiche agricole nel governo Monti.

Secondo la tesi accusatoria di Picuti, se Cimino avesse esaminato il progetto originario del palazzo, viziato da gravi errori di progettazione e vulnerabilità, avrebbe scongiurato la morte di quelle vittime del sisma: di qui la decisione di chiedere la condanna.

In particolare, nel progettare alcuni lavori di ristrutturazione seguiti a danneggiamenti, l’imputato non ha indicato quali erano i pilastri coinvolti, non ha svolto analisi di calcolo, non ha consegnato il progetto al Genio Civile, che in teoria avrebbe potuto disporre un collaudo.

Per quanto riguarda invece la posizione di Melaragno, il pm ha chiesto l’assoluzione perché, a differenza del primo, non era un “figura di garanzia”, essendo solo esecutore materiale dei lavori.

Le parti civili sono rappresentate dagli avvocati Bernardino Ciucci, Francesco Valentini, Antonio Milo, Donatella Boccabella e legali di altri Fori.

Procede intanto in parallelo il processo-bis a un altro imputato, Filippo Impicciatore, 82 anni, di Perano (Chieti), che si è occupato della costruzione originaria nel 1961, mentre gli altri costruttori sono deceduti.

All’uomo vengono addebitate le stesse accuse degli altri due, ma le notifiche in Venezuela, dove vive, hanno ritardato il procedimento e spinto il giudice a separare i filoni per portare a compimento questo in tempi più rapidi.

Le vittime di questo crollo sono Giuliana Tamburro (alla quale è stato intitolato l’Aeroporto dei Parchi di Preturo), Mario Tamburro, Stefano Antonini, Libero Muzi, Lucilla Muzi, Vilma Gasperini, Nicola Bianchi, Giuseppe Lippi, Giovanna Lippi, Marco Santosuosso, Carmelina Iovine, Matteo Vannucci e Maria Giuseppina De Nuntiis.

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