TANGENTI SISMA: IL PESCE PICCOLO, ”SOLDI IN NERO E LAVORI GONFIATI”

di Marco Signori

25 Novembre 2015 08:03

L'Aquila - Cronaca

L'AQUILA – “In sostanza mi venne chiesto di incassare 75 mila euro sul conto corrente della Edilservice e di restituirne 15 mila in contanti ed in banconote da 500 euro”.

L'imprenditore teramano Antonio Lupisella, l'accusatore dell'ex consigliere comunale di Forza Italia Pierluigi Tancredi, arrestato due volte in un anno e mezzo per presunte tangenti nella ricostruzione, ha ricostruito il sistema corruttivo nell'interrogatorio davanti al pm in occasione dell'inchiesta più recente, quella “Redde Rationem”.

Ha fatto diversi nomi agli inquirenti: un geometra, un dirigente comunale già molto chiacchierato e un funzionario dei beni ambientali.

C'è di tutto, subappalti non autorizzati, con operai “in prestito” e pagati in nero, e contributi gonfiati per le case classificate “A”, quelle solo lievemente danneggiate dal terremoto del 6 aprile 2009.





Nell'inchiesta “Redde Rationem”, figlia di quella “Do ut des” del gennaio 2014, oltre a Tancredi e allo stesso, Lupisella indagato per false fatturazioni, sono finiti i costruttori della Dipe Mauro Pellegrini e Giancarlo Di Persio, e Maurizio e Andrea Polisini.

Con la sua Edilservice Lupisella ha lavorato per la Dipe nell'immediato post terremoto.

“Alcuni miei operai venivano distaccati alla Dipe. Venivano da me pagati in contanti per il lavoro svolto mensilmente – ha raccontato ai magistrati – In seguito la Dipe emetteva assegno dell'importo della busta paga, importo minore rispetto a quanto da me pagato agli operai”.

“L'assegno mi veniva consegnato e io lo versavo sul conto corrente degli operai che mi avevano conferito la delega anche per il ritiro. Infatti, alcuni giorni dopo il versamento, prelevavo lo stesso importo e lo restituivo a Mauro Pellegrini”.

In pratica, i lavoratori risultavano essere dipendenti Dipe solo formalmente, perché di fatto venivano pagati da Lupisella. Quest'ultimo era costretto anche a integrare con una differenza l'importo della busta paga, che la Dipe emetteva in base alla tariffa per il tipo di assunzione.





È sempre Lupisella a raccontare agli inquirenti che nel 2010 eseguì lavori di puntellamento “senza subappalto autorizzato, in realtà negato per l'antimafia poiché in quel periodo venivano sistematicamente negati perché vietati per evitare infiltrazioni della criminalità”.

L'imprenditore rivela agli investigatori come possa “provare che di fatto abbiamo lavorato per la Dipe nel centro storico perchè conservo tutti i pass a me intestati, intestati ai miei dipendenti e ai mezzi che utilizzavamo. In questi pass noi e i mezzi risultavamo dipendenti della Dipe”.

“Sono stato obbligato da Mauro Pellegrini a emettere la fattura per quell'importo (75 mila euro a fronte di 60 mila di lavori, ndr), senza possibilità di rifiuto pena la conclusione del rapporto, perché i 15 mila euro in più servivano a Pellegrini, che curava le relazioni della sua impresa con i personaggi che gli procacciavano il lavoro, per pagare somme di denaro sicuramente a Pierluigi Tancredi”.

“Lo stesso giorno in cui ho versato l'assegno – racconta Lupisella – ho prenotato il ritiro di 15 mila euro che ho preso il giorno successivo o due giorni dopo. Somma che io ho riportato all'Aquila e ho consegnato nell'ufficio della Dipe a Mauro Pellegrini”.

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