LETTERA APERTA PROPRIETARI E TECNICI ARISCHIA, ''RESTAURO ESISTENTE SENZA ALCUN PREGIO PIU' COSTOSO E NON GARANTISCE 100% SICUREZZA SISMICA''

SISMA 2009: RIVOLTA CONTRO ECCESSO DI VINCOLI, ”CASE VECCHIE DA ABBATTERE E RICOSTRUIRE”

di Filippo Tronca

17 Giugno 2019 07:10

L'Aquila -

L'AQUILA – C’era una volta…a botte. Non è l’insolito incipit di una una fiaba. Ma una delle concrete ragioni tecniche che ritardano la ricostruzione di tanti centri storici del cratere simico aquilano. Ritardo favorito , certo da uno scarso interesse dei propritari non residenti a rientrare in possesso di seconde case che poi sarà difficile vendere e affittare.

Dalla burocrazia che ha ancora troppi colli di bottiglia Vedi uffici sguarniti del genio civile e dei comuni.

C'e' però un altro motivo ancora: in una lettera aperta, recapitata ad AbruzzoWeb, e firmata da “proprietari, presidenti di consorzio e tecnici”, impegnati in particolare nella frazione aquilana di Arischia, sotto accusa finiscono gli “immotivati” vincoli paesaggistici e architettonici imposti in primis dalla Soprintendenza delll'Aquila, che indicano come via abbligata la ristrutturazione degli edifici esistenti, anche se di nessun valore estetico e architettonico, ''vecchi'', piu' che ''antichi'', lascito di “un passato di povertà, di privazioni e tanti sacrifici”, in cui non si rinviene “alcuna traccia di sfarzi o lussi testimoni di un nobile passato”. Vietando  dunque l'abbatimento e rifacimento integrale, ovviamente salvaguardando i volumi e le forme, e l'estetica dell’abitazione armonizzata al contensto urbanistico del centro storico. L'unica via, spiegano i firmatari, per garantire un grado di sicurezza sismica del 100%, contro il massimo del 60% che si puo ottenere con il restauro e consolidamento dell'esistente, comunque un livello ben superiore rispetto alla situazione pre-sisma.

Che c’entrano dunque le volte a botte? A spiegarlo ad AbruzzoWeb è uno dei tecnici impegnati ad Arischia, firmatario dell'appello.

“Se in un'abitazione c’è una cantina – spiega l’ingegnere – o un fondaco con una volta a botte, questo è uno dei motivi per i quali non è possibile abbattere e ricostruire, anche se quella cantina e quel fondaco non hanno valore architettonico ed estetico, come il resto dell’abitazione. su cui insiste solo un vincolo indiretto, in quanto facente parte di un centro storico. E visto che quasi tutte le case di paese hanno  una cantina o un fondaco con una volta a botte, non si può in nessun caso intervenire con un rifacimento integrale, che permetterebbe anche di ridefinire gli spazi interni, adeguandoli alle nuove esigenze di vita, abbattendo le barriere architettoniche”.





Anche per questa ragione, ad Arischia, la ricostruzione dopo dieci anni è al palo: gli aggregati finiti e riconsegnati sono solo 3, a fronte di 133 aggregati su cui intervenire. Nel dettaglio: 109 sono solo alla prima fase dell'iter, avendo consegnato al'Usra il progetto preliminare, 15 sono alla fase dell'esame del progetto definitivo, in altri 5 i lavori sono in corso.

E tante frazioni aquilane, sacrificate alla scelta di dare priorità al centro storico del capoluogo, la situazione e' molto simile. 

Questa testata, a proposito di integralismo vincolistico,  ha riferito di un caso di scuola a Castelnuovo, frazione di San Pio delle Camere, dando voce ad un proprietario che si oppone al restauro conservativo della sua casa di devastata dal sisma, che si regge in piedi, garantisce solo grazie ai puntellamenti. Che ha come unicobl elemento di pregio un “balcunciello”, che potrebbe essere senza problemi ricollocato in una casa rifatta da capo, della stessa sagoma e davvero sicura.

A quanto pare non è un caso isolato, come conferma la lettera aperta, che arriva da Arischia.

“A dieci anni dal sisma del 2009 – sostengono i firmatari -, molti aggregati di Arischia sembrerebbero al palo, per negligenza dei proprietari, dei presidenti e dei tecnici. Non è così. Purtroppo ancora oggi persistono indirizzi, che invece che accelerare, snellire, di fatto rallentano e complicano qualsiasi proposta intelligente per una spedita e corretta ricostruzione”.

Precisano di non voler “additare specifiche responsabilità”, ma solo discutere di concretezza e delle “scelte di tutte le istituzioni”.





“Fine ultimo ed imprescindibile della ricostruzione delle zone colpite da un sisma è il ritorno, nel minor tempo possibile, della popolazione ad una condizione di vita normale nella propria abitazione la quale dovrà essere sicura per sé e per i propri discendenti. Oggi, grazie ad un buon livello culturale e di conoscenza, la totalità della popolazione, sostiene l’importanza della conservazione e valorizzazione del vero patrimonio storico-architettonico, anche quello dei centri minori, e non ci sono dubbi”.

Un eccesso di zelo “conservazionista”, pero' ha pesanti ripercussioni.

“Crediamo sia il caso di ritrattare con metodo e cognizione di causa, alcuni aspetti dei vincoli ambientali che indirettamente stanno decretando implicitamente un vincolo incondizionato la cui portata non è precisata, e i cui primi effetti sono sotto gli occhi di tutti – prosegue la lettera -. Ciò, invece di tramutarsi in un favore nei confronti di chi vi abitava e per il pubblico interesse, pare rappresentare oggi – paradossalmente – un ostacolo a qualsiasi proposta di ricostruzione volta al raggiungimento della sicurezza strutturale del 100%. Nel caso che ci riguarda, abbiamo fatto ripetutamente notare (e continueremo a farlo) quanto sia inspiegabile l’attribuzione solo sulla carta delle caratteristiche del pregio e dell’interesse storico a due o tre punti dei nostri aggregati, a danno dell’inviolabile diritto dei proprietari di rivendicare pretese del tutto legittime, prima fra tutte quella della sicurezza”.

Aseguire la stoccata dell'''esercizio intellettuale'', agli integralisti del dov'era e com'era.

“Visto l’alto rischio sismico del nostro territorio – fanno osservare -, crediamo che le soluzioni convincenti siano unicamente quelle che permettono di rivolgere lo sguardo verso il futuro. Nei casi che si portano in evidenza, siamo in presenza di un patrimonio edilizio che, seppur datato (vecchio più che antico in realtà), racconta ed evidenzia soltanto un passato di povertà, di privazioni e tanti sacrifici. Non si rinviene alcuna traccia di sfarzi o lussi testimoni di un nobile passato. Gli immobili cui si vorrebbe portare all’attenzione (oggi aggregati) furono costruiti con materiali poveri, quali sassi, sabbia e calce all’occorrenza, e con tecniche costruttive di dubbia efficacia ma di certa insicurezza architettonica”. Pertanto, “spingere per un ritorno al passato, con tutti i limiti e le difficoltà che ciò comporta, senza – inoltre – tener conto dell’attuale realtà storica, sembra essere solo un inutile quanto utopico esercizio intellettuale che obbedisce acriticamente soltanto ad un cieco illuminismo contemporaneo. Comporterebbe al paradosso di regredire ad una civiltà superata quanto dolorosa e insicura quanto arretrata rispetto agli agglomerati più imponenti”.

La proposta è dunque quella di “adottare soluzioni ottimali, raggiungendo il giusto compromesso, concedendo agli aventi diritto la possibilità di demolizione cielo terra, compreso quegli ambienti di insignificante valore storico. Tale ricostruzione potrà e dovrà garantire, migliori livelli estetici in armonia con le nuove esigenze. Si potranno riproporre, laddove ce ne fosse evidenza, quelle limitate peculiarità originarie, ricollocando, con le migliori tecniche di restauro, gli elementi caratteristici ritenuti di pregio. Questa proposta comporterebbe un saldo nullo in termini di consumo di territorio, con il vantaggio di ottenere il massimo rispetto dell’ambiente (e della storia) e luoghi tranquilli, sani e sicuri. La ricostruzione così intesa potrebbe, inoltre, diventare uno speciale volano ed elemento di attrazione, in grado di ripopolare e di trainare l’economia delle periferie anche a vantaggio della grande città”. Poi se le posizioni oltranziste dovessero permanere, allora questa la provocazione, si chiede “di assoggettare gli immobili in questione al giusto indennizzo, parificandolo a quello stabilito per le abitazioni signorili e patrizie del centro storico dell’Aquila”.

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