SPINA, ''SENZA DEROGHE A DECRETO LORENZIN IN ABRUZZO NESSUN OSPEDALE DI SECONDO LIVELLO''. CRITICHE A PAOLUCCI CHE NON SCOPRE LE CARTE

RIORDINO SANITA’: PIANO B DEI SINDACATI, ”MENO PRIMARI NON E’ SMANTELLAMENTO”

di Filippo Tronca

9 Ottobre 2015 08:06

Regione - Politica

PESCARA -“Senza deroghe al decreto Lorenzin, l’Abruzzo non avrà nessun ospedale di secondo livello e sarà una catastrofe, perché l’ipotesi di accorpare L’Aquila e Teramo da una parte e Pescara e Chieti dall'altra non è, a oggi, contemplata, e a caduta saranno declassati altri ospedali”.

Il grido di allarme è di Maurizio Spina, segretario generale Usi Cisl Abruzzo Molise, in merito al piano di riordino della sanità abruzzese, imposto dal decreto 70 del ministero della Salute, che prende il nome dal ministro Beatrice Lorenzin.

Un diktat che impone alle Regioni il ridimensionamento di interi ospedali pubblici e privati, l'accorpamento di reparti e la cancellazione di specialità per le quali sarà necessario superare precisi bacini di utenza.

Spina parla a nome di un fronte sindacale che denuncia il mancato coinvolgimento nelle epocali scelte sulla sanità, da parte del presidente della Regione e commissario ad acta, Luciano D’Alfonso, e dell’assessore al ramo Silvio Paolucci, che hanno inviato una proposta di riordino al governo, ma si guardano bene dal renderla nota.

L’Intersindacale sanitaria abruzzese, che riunisce una decina di sigle che rappresentano categorie che vanno dai medici agli infermieri, dai farmacisti, psicologi ai dirigenti sanitari, intanto, ha messo a punto una propria proposta di riordino.

Una proposta che assicurano, assolvendo i parametri ragionevolmente allentati del decreto, consentirebbe di garantire il servizio su tutto il territorio mentre i tagli riguarderebbero solo i posti da primario.

Il tutto accade in giorni in cui si fa incandescente il clima. Ieri in quinta commissione sanità l’assessore Paolucci e il direttore del’agenzia sanitaria regionale, Alfonso Mascitelli, nell’audizione richiesta dalle opposizioni non hanno fornito risposte chiare secondo l'opposizione del centrodestra e del Movimento 5 stelle, inferociti.

E c’è chi scommette che, anche in occasione del Consiglio straordinario convocato per martedi prossimo, sul piano di riordino della sanità non si avranno chiare e dettagliate indicazioni sulle reali e dettagliate intezioni di commissario e governo. Sindaci e comitati sguainano le spade a difesa dei loro presidi ospedalieri, respingendo ogni ipotesi di declassamento e riduzione dei servizi.

OSPEDALI DI SECONDO LIVELLO IN FORSE

Primo nodo è quello degli ospedali di secondo livello, il top del top: l’intersindacale, e pare certo anche la proposta della Regione, indicano quelli Chieti-Pescara, accorpando i due ospedali esistenti di Chieti e di Pescara, e quello di L’Aquila-Teramo, accorpando i due ospedali esistenti di L’Aquila e di Teramo con una sola Direzione sanitaria e due sedi erogative, per i due nuovi plessi.

Due hub che copriranno, come impone il decreto Lorenzin, un bacino di utenza compreso tra 600 mila e 1,2 milioni di abitanti.





“Il problema – spiega però Spina – è che occorre una deroga altrimenti saranno dolori. A caduta infatti si rischia che i nosocomi di Teramo, L’Aquila, Chieti e Pescara siano catalogati come ospedali di primo livello, con minori potenzialità, e allora, visto che per questa categoria i posti sono limitati, altri ospedali saranno a loro volta depotenziati”.

“E la sanità abruzzese sarà molto meno competitiva, con aumento della mobilità passiva, ovvero gli abruzzesi dovranno andare a curarsi in altre regioni con maggiori disagi e costi per il sistema sanitario”, fa notare.

MENO PRIMARI E STESSI SERVIZI

Vincenzo Traniello, segretario generale della Cisl Funzione pubblica, al netto di queste incognite, e nodi decisivi da chiarire, usando come canovaccio del ragionamento la proposta di piano di riordino presentata dalla stessa intersindacale sanitaria abruzzese, da lui condivisa in buona parte, spiega ad AbruzzoWeb perché una profonda revisione dell’organizzazione della rete ospedaliera abruzzese, seppure imposta dal governo, “non sia necessariamente un male, se condivisa con tutte le parti in causa”.

Tutto il contrario, tiene però a sottolineare, “dell’atteggiamento di chiusura mostrato finora dalla Regione”.

Per quanto riguarda la proposta degli ospedali di secondo livello a rete L’Aquila-Teramo e Pescara-Chieti, nella proposta dell’Intersindacale si legge che dovrebbero essere dotati ciascuno di tutte le strutture previste per l’ospedale di I Livello compreso la presenza per 24 ore di servizi di Radiologia con almeno Tac ed Ecografia (con presenza medica), di Servizi di Laboratorio, di Servizi immuno-trasfusionali, Servizi farmaceutici e Servizi di psicologia nonché delle discipline medico-chirurgiche più complesse da distribuire equamente evitando duplicazioni.

Tra queste, Pronto soccorso, Cardiologia con emodinamica interventistica per 24 ore, Neurochirurgia, Cardiochirurgia e Rianimazione cardiochirurgica, Chirurgia vascolare, Chirurgia toracica, Chirurgia maxillo-facciale, Chirurgia plastica, Endoscopia digestiva ad elevata complessità, Broncoscopia interventistica, Radiologia interventistica, Rianimazione pediatrica e neonatale, Medicina nucleare e altre eventuali discipline di alta specialità.

“Una proposta ragionevole – assicura Traniello – perché ‘evitare le duplicazioni’ non significherà cancellare i posti letto, chiudere i reparti, impacchettare macchinari e spedirli da Teramo all'Aquila, o da Pescara a Chieti e viceversa. Riguarderà più che altro la governance, significherà che non ci saranno più due unità complesse e relativi primari per la stessa specializzazione sia a Teramo che all’Aquila, ma in uno solo dei due ospedali. E questo è un bene, perché ci saranno risparmi importanti, senza diminuire il servizio”.

All’ospedale Annunziata di Chieti, ricorda il sindacalista “c’erano fino a qualche anno fa tre primari di cardiologia. Adesso ne abbiamo uno solo, e tutto funziona al meglio – assicura – Ci sono troppi primari in Abruzzo, questa è la verità, che costano 150 mila euro l’anno, la riorganizzazione è l’occasione per diminuire significativamente il loro numero, e liberare importanti risorse ad esempio per sviluppare la medicina del territorio, la deospedalizzazione delle prestazioni, perché le fasi post-acute possono e devono essere seguite a domicilio o in strutture più leggere e dedicate”.

Certo, ammette Traniello, “alcune specializzazioni in termini di cura e ricovero, andranno concentrate in questo o quell’ospedale, decidendo con criteri oggettivi, la cardiochirurgia va localizzata nell’ospedale nel cui territorio si verificano più infarti”.

“Non sarà però un dramma o un disagio particolare e andare da Teramo all’Aquila o viceversa per sottoporsi a un'operazione chirurgica non urgente e programmata, che oggi si fa in entrambi gli ospedali – assicura – Basterà predisporre ostelli dove ospitare a prezzi convenzionati i familiari del paziente”.

La razionalizzazione dell’esercizio della sale operatorie, aggiunge Traniello, “comporta gradi risparmi, perché si eviterà di garantire coperture dei turni h24, in una situazioni di scarsità di personale”.





IL DESTINO DEGLI ALTRI OSPEDALI

Passando agli ospedali che devono coprire il bacino di utenza tra 150 mila e 300 mila abitanti, denominati di primo livello, nella proposta dell’intersindacale si indicano quelli di Avezzano, Giulianova, Lanciano e Sulmona dotati ciascuno di Dipartimento di emergenza accettazione (Dea) e solo alcune specialità.

In particolare, Pronto soccorso, Medicina interna, Chirurgia generale, Anestesia e Rianimazione, Ortopedia e Traumatologia, Ginecologia, Pediatria, Cardiologia con Unità di terapia Intensiva Cardiologica, Neurologia, Psichiatria, Oncologia con posti letto in day-hospital, Oculistica, Otorinolaringoiatria, Urologia, con servizio medico di guardia attiva e/o di reperibilità oppure in rete per le patologie che la prevedono.

Anche qui assicura Traniello, è improprio parlare di smantellamento e declassamento.

“Quello che avverrà sarà una riconversione parziale – spiega il sindacalista – ovvero ci sarà un numero di posti letto da destinare non più agli 'acuti', ma all’assistenza e alla riabilitazione, un servizio da potenziare. E significherà anche in questo caso una riduzione del numero dei primari, che è come ripeto una cosa molto positiva”.

Discorso analogo per gli ospedali da trasformare nella proposta dell’intersindacale in presidi di base: ovvero gli ospedali di Atessa, Castel di Sangro, Sant’Omero e Vasto con utenza compreso tra 80 mila e 150 mila abitanti dotati ciascuno di Pronto soccorso, Medicina Interna, Chirurgia Generale, Anestesia e Servizi di supporto di Radiologia, Laboratorio ed Emoteca in guardia attiva o pronta disponibilità per 24 ore, posti letto di osservazione breve intensiva, Servizio di farmacia e Servizio di Psicologia.

“Ipotesi condivisibile, perché non ci saranno grandi variazioni rispetto alle attuali specializzazioni”, ribadisce Traniello.

Con un’eccezione: il nosocomio di Vasto, “che perderà importanti reparti, un ospedale strategico, al confine con il Molise, e che dunque dovrebbe essere potenziato per attrarre pazienti nella nostra Regione, per di più in un area costiera che in estate si riempie di turisti”.

Infine gli ultimi quattro ospedali, quelli Atri, Ortona, Penne e Popoli. L’intersindacale propone di farli diventare sedi erogative distaccate di altre strutture ospedaliere (Ortona e Penne sedi erogative distaccate di Chieti-Pescara; Atessa sede erogativa distaccata di Lanciano, Atri sede distaccata di L’Aquila-Teramo, Popoli di Sulmona) nel rispetto della dotazione dei posti letto previsti.

L’effetto concreto di questa trasformazione, concorda Traniello è che “perderanno l’autonomia gestionale, ovvero l’ufficio del personale, per il resto potranno diventare un laboratorio di una nuova idea di prestazione sanitaria, come presidi di comunità al centro di una rete territoriale”.

“La Regione deve ascoltare il parere di chi rappresenta 18 mila lavoratori, alla politica e a chi urla allo smantellamento di interi ospedali, dico però che non è importante il numero dei primari, ma l’efficienza del servizio sanitario regionale”, conclude.

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