PIETRO FERZOCO: TRA CALCIO, PANCHINA E SCUOLA, ”LA MIA VITA CON L’AQUILA IN CAMPO E FUORI”

di Gianluca Di Giustini

29 Settembre 2014 08:35

L'Aquila -

L’AQUILA – Dare voce a questa persona, è un vero piacere. Pietro Ferzoco è rimasto nei cuori di tanti tifosi dell’Aquila Calcio.

Carattere schivo e stile da vero signore, Ferzoco mostra il suo sguardo commosso tipico di chi conserva un buon ricordo di qualcosa.

Ferzoco, 58 anni, una solida cultura calcistica e in generale sportiva, anche da docente di educazione fisica, una vita da terzino sinistro, racconta ad AbruzzoWeb la sua bellissima carriera professionistica, cominciata a 15 anni nelle juniores del Raiano e finita in gloria nell’Angizia di Luco Dei Marsi, vecchia Serie C2.

“Con L’Aquila Calcio ho giocato 10 anni, in Serie D, è stata un’esperienza importante che mi ha affermato come persona e come calciatore”, parte subito Ferzoco parlando della lunga militanza in rossoblù.

“Prima, però, sono stato nel Raiano in Prima Categoria, poi grazie a mister Salvatore Petrilli sono arrivato a vestire la casacca aquilana”, continua. Da allenatore, ha girato parecchio l’Abruzzo, da Raiano, Amiternina, Sulmona, Luco dei Marsi. 

In rossoblù, Ferzoco ha vissuto, da allenatore, uno dei momenti più bui della storia del sodalizio. 

“Ho allenato L’Aquila venti anni fa – racconta – nel periodo in cui la società proveniva da un fallimento, era stata iscritta all’ultimo momento al campionato di Eccellenza, la maggior parte dei tifosi ha vissuto quel fatto come un’ingiustizia. Ma c’era tanto entusiasmo attorno alla squadra, il titolo sportivo fu acquistato dal Paganica, fu un’esperienza tutto sommato positiva, davvero un bel ricordo”.

Le sue soddisfazioni più grandi da calciatore?





Senza dubbio, la vittoria del campionato 1978/1979 con L’Aquila. Però voglio dire che una delle soddisfazioni più grandi è stata quella di aver saputo conciliare il mio lavoro di docente di educazione fisica con l’agonismo sportivo.

Meglio calciatore o allenatore?

Sono due facce della stessa medaglia, quella più spontanea e naturale è riferita a chi scende e combatte sul  campo, quella di responsabilità e diligenza fa parte del profilo dell’ allenatore. Io ho fatto tutte e due le cose credo che ci sia un tempo per ogni cosa.

L’Aquila Calcio, nel frattempo, è diventata, diciamo così, ‘grandicella’. Arrivando a giocare stabilmente in Lega Pro, che qualche anno fa era la Serie C. 

La stagione passata è stata entusiasmante, sono state affrontate corazzate blasonate come il Pisa, giusto per dirne una. E la società del presidente Corrado Chiodi a mio avviso sta vivendo la cosa con ottimismo. Per quel che riguarda la squadra in difficoltà dopo poche giornate di campionato, credo che ci sia stato poco tempo in estate per vedere tutti i giocatori insieme. È normale dover aspettare un po’ prima di veder girare tutto come si deve. 

Domanda secca: la differenza tra il calcio dei suoi tempi e quello attuale.

Nel passato il giocatore apparteneva alla società, con il tempo nasceva un vincolo d’affetto con i tifosi. S’iniziava con una maglia, si rischiava di finire con la stessa maglia. Adesso il giocatore va dietro all’ingaggio, si basa sulla tipologia di contratto, fa leva sull’aspetto economico. 

Un errore che non rifarebbe. 





Posso dirle che desideravo giocare in società diverse conciliando il mio lavoro di docente, ma non è stato possibile
Cosa consiglia a chi vuole diventare un professionista? Il professionismo deve essere una conseguenza del lavoro che si è fatto, l’atleta deve impegnarsi a tirar fuori il meglio di se stesso. E se uno è un potenziale campione, deve avere qualità tecniche e fisiche fuori dell’ordinario per dimostrarlo. Sono convinto che un campione che si vuole proporre ed essere punto di riferimento per gli altri, debba possedere toni caratteriali, morali e comportamentali per gestire al meglio ogni tipo di situazione.

Esser docenti e nello stesso tempo calciatori o allenatori serve?

Direi di sì. Sono esperienze complementari. Rapportarsi con i giovani è bello, allenare e come insegnare a scuola, certamente ti avvantaggia.

Passiamo ai ringraziamenti. Qualcuno li merita. 

Sicuramente Salvatore Petrilli, che mi ha permesso di sfondare. Ma anche i giocatori che ho allenato, i miei ex compagni di squadra ed altri miei allenatori dai quali ho imparato tanto.

Può dirsi soddisfatto della sua carriera?

Certo. Trent’anni nello sport, tante energie spese. Per me è arrivato il momento di pensare ad altro, di giocare a calcetto con gli amici. E, ovviamente al primo posto, godermi la famiglia. Sono felicemente sposato con una figlia.

 

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