LO SCACCHIERE DEL PARTITO IN REGIONE, EX AN E FORZISTI 'DEL '94' CON IL CAV VENTURONI NON CEDE AL DIKTAT NAZIONALE: ''MEGLIO LA SITUAZIONE ATTUALE''

PDL: ABRUZZO TRA ‘COLOMBE’ E ‘LEALISTI’, CHI SONO I ‘FALCHI’ PRO-SILVIO E GLI ALTRI

di Pierluigi Biondi

8 Ottobre 2013 08:09

Regione - Politica

L’AQUILA – Fino a pochi giorni fa si chiamavano “falchi”, adesso sono diventati “lealisti”: sono gli esponenti del Popolo della libertà rimasti fedeli a Silvio Berlusconi dopo la crisi di nervi (e di partito) che ha portato a un passo dalla spaccatura la creatura voluta dal Cav e oggi rinnegata in favore della rediviva Forza Italia.

In Abruzzo la situazione è ancora fluida, ma alcune posizioni sono chiare: dalla parte delle “colombe” si sono schierati chiaramente il ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello, napoletano di nascita ma eletto nella nostra circoscrizione, il coordinatore regionale pidiellino, il deputato Filippo Piccone, il collega di Montecitorio Paolo Tancredi e la senatrice Federica Chiavaroli, che hanno per primi annunciato la fiducia al governo di Enrico Letta, incassata a palazzo Madama, grazie anche ai voti del resto della pattuglia pidiellina, che all’ultimo minuto ha deciso di dare l’ok al premier.

Sull’altro fronte un’insolita aggregazione composta da forzisti della prima ora e da ex di Alleanza nazionale: i senatori Paola Pelino e Antonio Razzifedelissimi di Berlusconi, e il numero 2 del Pdl regionale, l’onorevole Fabrizio Di Stefano, con un lungo pedigree di militanza a destra, che con questa scelta marca la distanza con Piccone che si trascinava da tempo.

All’Emiciclo lo scacchiere politico risente delle collocazioni nazionali dei rispettivi referenti a Roma: gli ex ministri Maurizio Gasparri e Altero Matteoli, gli unici “colonnelli” aennini rimasti in sella dopo la mattanza delle elezioni di febbraio, sono con il leader storico del partito, quindi a caduta sono ascrivibili alla schiera dei “pro-Silvio” Gianfranco Giuliante (un “matteoliano”), Mauro Febbo, Luigi De Fanis, Emilio Iampieri e Lorenzo Sospiri, “gasparriani” e vicini a Di Stefano.

Con loro Riccardo Chiavaroli, Luca Ricciuti, Giuseppe Tagliente e, probabilmente, Nicola Argirò: quest’ultimo è uno degli “uomini del ’94”, da imprenditore ha deciso di misurarsi con le urne in concomitanza della discesa in campo di Berlusconi, difficile, quindi, che possa dimenticare il primo amore. 





In mezzo al guado il presidente del Consiglio, Nazario Pagano, un tempo molto legato a Raffaele Fitto, uno dei capi dei “lealisti”, ma ultimamente più in sintonia con Quagliariello.

Chi non prende posizione, invece, è il governatore Gianni Chiodi, grande amico di Tancredi, ma che deve mantenere l’equidistanza per non scontentare nessuno e non complicarsi la strada verso le regionali del maggio prossimo. Idem per il vice presidente Alfredo Castiglione, pure se è nota la sua affinità con il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, una “colomba”.

Dalla parte dello “strappo” del segretario nazionale Angelino Alfano, rappresentato in Abruzzo dal duo Piccone-Tancredi, si possono annoverare, anche per questioni territoriali, l’avezzanese Walter Di Bastiano e il capogruppo Pdl in Consiglio, il teramano Lanfranco Venturoni.

Ci sono, poi, i “terzisti”, cioè coloro che già da tempo si sentono a disagio nella casa del Pdl o che sono formalmente ancora nel gruppo all’Emiciclo ma che viaggiano verso altri lidi: è il caso di Paolo Gatti, Emiliano Di Matteo e Giandonato Morra, che alle politiche si sono candidati i primi due con Fratelli d’Italia e il terzo con La Destra, prossima alla defezione pure Alessandra Petri, attratta dal progetto dell'”Officina per l’Italia”, un laboratorio che lavora a un nuovo soggetto che potrebbe avere come punto di riferimento Giorgia Meloni.

In questo scenario fatto di indecisioni e parole dette a mezza bocca, con i consiglieri regionali pronti a salire su uno dei due carri solo quando si capirà quello con più chance di spuntarla, è caduta nel dimenticatoio una circolare fatta recapitare dal coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, ai maggiorenti del partito sul territorio.





Un vero e proprio diktat datato 25 settembre nel quale si chiedeva di procedere “all’immediato cambiamento di denominazione dei gruppi istituiti nei consigli regionali, provinciali e comunali” in Forza Italia, tenendo però d’occhio “le norme legislative e le disposizioni regolamentari specifiche di ogni realtà regionale e locale, in materia elettorale, di finanziamento e sostegno delle spese dei gruppi consiliari”.

Non solo, nella nota, Verdini chiedeva di “segnalare senza indugio eventuali possibili non adesioni ai nuovi gruppi di Forza Italia”.

In questa fase, è stata la riflessione fatta dalle parti dell’Emiciclo, forzare la mano con la rinascita di Fi significherebbe partire con la conta, scontando inevitabili defezioni e agitare ancora di più le acque, per cui si è scelta la linea morbida del richiamo all’unità.

Lo dimostrano le parole di Venturoni ad AbruzzoWeb: “è stata superata dagli eventi, le condizioni oggi sono totalmente diverse, il passaggio, comunque, dovrebbe arrivare prima a livello parlamentare e poi a quello locale”. “Per quanto mi riguarda – ha aggiunto – meglio che tutto resti così com’è”.

Un’armonia di facciata che durerà, verosimilmente, fino alla prossima frizione tra le due fazioni o, al massimo, in Abruzzo, fino al giorno in cui si inizierà a parlare ufficialmente di candidature per le regionali, anche se un assaggio di maretta già serpeggia.

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