MARCO CAROSONE, PROFESSIONE DJ CON PARTITA IVA, ”IL FRIDA TORNERA’, MA IL FUTURO E’ IL CENTRO”

di Vincenzo Calvisi

4 Novembre 2012 10:24

Regione -

L’AQUILA – Marco Carosone, 35 anni, il dj all’Aquila non lo fa per hobby come molti, lo fa per professione.

“Con tanto di partita Iva – precisa – perché è un mestiere in cui credo e che amo, oltre a darmi da vivere”.

Sì, dj Carosone è in effetti è una icona nel capoluogo nel suo settore: chi lo conosce, tanti, lo associa da sempre alla consolle a fare musica.

Questa intervista ad AbruzzoWeb si svolge in una location particolare, il locale ex Frida, a Monticchio, l’ultima discoteca attiva in città nell’“era ante-sisma”, fino al 2009.

Chi scrive lo raggiunge mentre è intento a smontare apparecchiature; sembra uno scenario di guerra post-industriale, fa un certo effetto il localone vuoto e dimesso.

“C’è un progetto ambizioso per il Frida – svela Marco – per dargli una valenza polivalente. È una bella struttura, può essere utile alla città. Ma una discoteca non ci sarà all’Aquila; piuttosto, faccio una provocazione ma neanche troppo, si finirà per ballare nei locali del centro, nel cantiere più grande d’Europa. E magari va a finire che sarà pure fashion”.

Marco, quanti ricordi evoca il Frida agli aquilani…

Sì, è stata una disco attiva dal 2003 al 2009. Ricordo molte mitiche serate di capodanno, su tutte quella del 2006: facevamo il panico. Ma abbiamo anche avuto la forza di fare eventi dopo il terremoto: sono passati i Sud Sound System, Brusco, Apres la Class, numerose serate cover di artisti. Non bisogna mollare, ho fatto l’ultima serata il 5 maggio scorso con Dj Aladin e Mike, ne farò altre qui in futuro.

Ma tornerà mai una discoteca all’Aquila secondo te?





No, ormai il ritmo è cambiato, anche prima del terremoto: la gente preferisce la musica nei locali-bar, non c’è spazio di mercato. E poi, diciamoci una verità…

Quale?

Che ormai, con i posti di blocco, cosa giusta ci mancherebbe, la gente ha paura del palloncino e del ritiro della patente.

E dove ballano adesso i ragazzi della nostra città?

Sono arrivati i nuovi locali delle periferie, tipo 910 e Dolce Vita, ma vedrai che si finirà per ballare pure nei locali che si sono rimessi in centro, e va a finire che sarà pure fashion. Se una cosa del genere fossa accaduta, chessò, a Milano, ci avrebbero subito fatto il business.

Quanti ricordi hai delle serate del centro?

Eh! Sarebbero illimitati. Pensa che io andavo a comprare i dischi a via Simonetto vent’anni fa, da promo dj, al prezzo di 15 mila lire l’uno, ed erano pure cari! Non c’era la tecnologia di oggi, se volevi fare il disc jockey dovevi spendere un botto, per avere tutto quello che poi ti chiedevano. Dovevi ascoltare il disco, studiarlo, per dare il ritmo giusto alla serata.

Quando hai cominciato?

A inizio anni ’90, al Bar Pinzone di Poggio Picenze, il mio paese; quest’anno il bar ha riaperto nella sua sede storica, riparata dopo i danni del sisma: sono stato felicissimo di stare lì a fare la serata di inaugurazione nello scorso luglio. È un fatto di radici, per me quel bar ha un sapore particolare.

L’esordio sulla piazza quando avvenne per te?





Nel 1992 esplose l’Evergreen, nuova struttura nel nucleo industriale di Fossa: fu una vera palestra per me. Ho visto passare il top di Radio Dj, Molella, Fargetta, Albertino. E poi Gipsy Kings, Corona. Poi facemmo la Terrazza a Cansatessa, disco all’aperto: vennero dj del calibro di Fabio Cassandro del Cyborg di Roma.

E poi sei arrivato tra le mura del centro storico.

Sì, da metà anni ’90 iniziarono a crescere forte i locali del centro, L’Aquila assurse a livelli di serie A come città universitaria. Io suonavo nel 1997 allo Sweet Home, pieno di universitari e greci, e al Blufunky in via Arco Ricci. Ma ricordiamoci anche i locali non in centro, tipo il Roxy, dove dal 1996 al 1998 facevamo il privée la domenica pomeriggio, per gli under 20.

Nel viaggio virtuale dei ricordi siamo ai fine ’90.

Nel 1999 suonavo al Petra, bellissimo locale vicino a palazzo Margherita, che poi diventerà il Vinalia. Poi stavo anche al No End a Piazza San Biagio, e ho cominciato poi le stagioni del Mythos assieme a Lele Barbaglio, Stefano Ostili, Luca D’Andrea e i fratelli Paolucci. E poi ancor a fare il venerdì all’Harrys, in viale della Croce Rossa: spopolava. È stato un periodo professionalmente formativo e proficuo per me, suonavo sui piatti Technics, il top. Ma è nel 2000 che all’Aquila si compie la “rivoluzione delle abitudini” del popolo della notte. E io ci ho messo del mio, modestamente.

Quale rivoluzione?

Nasce quello che potremmo definire il “dj-Bar”, ovvero la consolle si sposta vicino al bancone del bar. Una fattore che cambierà profondamente le abitudini degli aquilani. Io sono stato il precursore di questa cosa: una piccola consolle, senza grandi apparecchiature, dove il dj è a contatto diretto con il cliente, senza barriere. L’esempio più sommo di ciò + stato certamente il caffè Cavour, dove la coreografia era la stupenda piazzetta: ti portavi la “tazza” fuori ascoltando musica. È di fatto il via alla movida aquilana, che poi si è diffusa a macchia nei numerosi locali e bar. E poi le consolle sono state portate sulle piazzette, come una perenne “isola sonante”, una caratteristica dello stupendo centro aquilano, dove arriva negli anni duemila l’ape-cenato. Sono finto sulle recensioni della rivista Discotec, e tra coloro che erano entusiasti del dj bar anche il nostro Guru, Enrico Di Paolo. Ma nel 2001 mi cimento con una scommessa pazza.

Sarebbe a dire?

Riporto la gente aquilana a ballare nel contado: a Sant’Eusanio Forconese apro La Gare, con musica dal vivo venerdì e sabato, poi disco e musica surf anni ’50. È stato un successo. Chi era mai stato a ballare a Sant’Eusanio? Impensabile! È stato un vero esperimento di città-territorio, di cui tanti si riempiono la bocca, ma senza fare iniziative. Ecco, noi operatori del settore oggi dobbiamo avere la fantasia creativa di reinventarci nuovi spazi, che saranno funzionali a nuovi ritmi del divertimento: è fattore essenziale di coesione sociale.

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