INCHIESTA PESCARAPORTO: NELLO STUDIO DI MILIA SCRITTO UN ATTO E NON LETTERE

25 Aprile 2017 19:55

Regione - Cronaca

PESCARA – Gli investigatori della procura della Repubblica di Pescara hanno le prove che l’avvocato Giuliano Milia non ha scritto lettere, ma il vero e proprio atto, poi adottato dal Genio civile, per cambiare il parere, da negativo a positivo, sull’insediamento immobiliare “Pescaraporto” nell’area ex Edison della Riviera Sud del capoluogo adriatico.

Questo il clamoroso sviluppo dell’inchiesta che, da quanto appreso da fonti investigative, corregge il tiro in relazione alle dichiarazioni rilasciate oggi al quotidiano Il Centro da parte dell’ex segretario particolare del presidente della Regione, Claudio Ruffini, uno dei cinque indagati nella nuova clamorosa inchiesta che vede coinvolti anche lo stesso governatore, Luciano D’Alfonso, il già citato Milia, il dirigente comunale di Pescara Guido Dezio e il dirigente del Genio civile Vittorio Di Biase. Le accuse a vario titolo sono di abuso d’ufficio e falso.

Sempre da quanto appreso, le prove sarebbero state fornite dalla procura dell’Aquila, impegnata nella precedente inchiesta sugli appalti con 11 filoni e 33 indagati, da cui è scaturito il nuovo fronte di indagine, e trasmesse ai pm di Pescara.

L’accusa ritiene di avere le prove tra intercettazioni telefoniche e ambientali, suffragate anche da testimonianze rese negli interrogatori.





Viene invece confermata un’altra circostanza resa nota da Ruffini, ovvero che sull’argomento si è svolta una riunione convocata da D'Alfonso per telefono, in cui ha chiamato Dezio e Ruffini nello studio di Milia, di mattina presto, senza comunicare l'oggetto dell’incontro.

CHE COSA HA DETTO RUFFINI

“Io ho fatto il portalettere. Sono andato là, ho preso la lettera e poi l’ho data all’ingegner Di Biase. La domanda non me la sono posta. Non sapevo cosa riguardasse di preciso”.

Così, in un’intervista al quotidiano Il Centro, l’ex consigliere regionale e segretario del presidente della Regione, Claudio Ruffini, prova a chiarire il suo ruolo nell’ambito dell’inchiesta della procura della Repubblica di Pescara che lo vede indagato assieme ad altre 4 persone sul progetto “Pescaraporto”, operazione immobiliare accanto all’ex consorzio ortofrutticolo Cofa.

Ruffini è indagato con il governatore, Luciano D’Alfonso, l’avvocato Giuliano Milia, il dirigente comunale di Pescara Guido Dezio e il dirigente del Genio civile Vittorio Di Biase. Le accuse a vario titolo sono di abuso d’ufficio e falso.

Secondo la procura adriatica, Ruffini si sarebbe recato nello studio dell’avvocato Milia, legale di fiducia di D’Alfonso e padre dell’amministratore della società contitolare di Pescaraporto, per farsi dare una lettera da consegnare a Di Biase, che ha poi espresso parere favorevole all’insediamento immobiliare nell’area ex Edison della Riviera Sud.





Con un sms, acquisito dagli investigatori nell’ambito delle intercettazioni, il governatore D’Alfonso avrebbe dato quell’incarico al suo segretario particolare: “Vai da Milia”.

Ruffini, difeso dall’avvocato teramano Gennaro Lettieri, è già stato interrogato dalla pubblico ministero Anna Rita Mantini.

D’Alfonso, secondo Ruffini, non gli ha spiegato perché dovesse andare da Milia “né prima né dopo. Mi ha solo detto di andare” e a dirgli di andare dal dirigente del Genio Civile è stato lo stesso “Milia. Io poi con il presidente non ho avuto nessun rapporto su questo argomento. Gli avrò anche detto di essere stato da Milia, ma non lo ricordo”, spiega sempre al quotidiano Il Centro.

“Non ricordo se i contenuti della lettera di Milia e di quello che ha scritto poi Di Biase coincidono esattamente. Non ho tenuto copie. Non posso fare nessun tipo di confronto e valutazione”, taglia poi corto l’ex consigliere del Pd.

Che ammette che “in quegli istanti non è che uno si fa tante domande. Ripeto io non entravo nel merito degli atti. Non scrivevo provvedimenti, casomai li sollecitavo. Chi scrive provvedimenti deve porsi domande, se è un atto legittimo o non legittimo. Di argomenti, ogni giorno, ne trattavo una quantità esagerata. Non avevo nemmeno il tempo per dire: ma cosa dice questo atto? A queste cose ci pensano gli amministratori. Non io”.

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