IL 2011 DI ABRUZZOWEB SI APRE CON UN'INTERVISTA AL TALENTUOSO CHEFIL RISTORANTE ''REALE'' DI RIVISONDOLI FA CONCORRENZA AI BIG EUROPEI

I SEGRETI DI NIKO ROMITO: QUANDO LA CUCINA DA’ SPETTACOLO

di Alberto Orsini

1 Gennaio 2011 11:42

Regione -

L’AQUILA – La cucina dà spettacolo, con Niko Romito. Appena 35 anni, originario di Rivisondoli (L’Aquila), con il suo ristorante “Reale”, ereditato dal padre come trattoria e gestito assieme alla sorella Cristiana, responsabile di sala, lo chef abruzzese ha scalato a marce forzate le classifiche dei migliori locali regionali prima, italiani poi, e internazionali ora e in prospettiva.

Due stelle nella Guida Michelin, tre forchette in quella del Gambero Rosso, 18,5 punti su 20 in quella dell’Espresso. Questo il palmares del Reale a oggi, molto vicino a vincere Mondiali, Champions League e Pallone d’Oro se si parlasse di calcio.

Romito predica da anni una cucina semplice, eppure curatissima, con studi anche di mesi; con ingredienti di alta qualità, perché “quello che finisce nella mia bocca diventerà parte del mio corpo”. Una cucina che va contro i “cotti e mangiati” di televisiva fattura, anche se lo chef rivela un’eresia, la sua segreta passione per gli hamburger del Mc Donald’s.

Un retaggio del suo periodo universitario a Roma, quando gli studi poco c’entravano con i fornelli (economia) e la fama del suo locale di Rivisondoli era ancora lontana.

Lo chef è rimasto lo stesso di allora, alla mano e garbato. Anche se oggi recita in un film con George Clooney e convince il regista a riscrivere il copione, anche se lo chiamano al G8 e a un certo punto Barack Obama gli fa ciao con la mano.

Niko Romito si racconta ad AbruzzoWeb, tra la sacra confessione di voler cucinare per Benedetto XVI e i profani segreti per conquistare una donna cucinando per lei.

NIKO E IL REALE, GUARDA LA FOTOGALLERIA

Buon 2011. La notte di San Silvestro è stato ai fornelli oppure per una volta si è seduto a mangiare e basta?

No, no, sono stato assolutamente in cucina. Il mio ristorante è a Rivisondoli, è un locale stagionale e in questo periodo si lavora tanto, quindi abbiamo lavorato.

Non vi sedete, insomma.

Mai!

Quando e cosa ha mangiato, il 31?

Sono undici capodanni che faccio lavorando qua, ho mangiato dopo aver lavorato, con i ragazzi. Siamo una brigata di nove persone in cucina, abbiamo mangiato un piatto molto classico, zampone con le lenticchie. Anzi, cotechino.

Durante il pomeriggio invece non mangiamo mai, c’è molta tensione perché comunque è un evento importante, addirittura viene clientela apposta: quest’anno abbiamo avuto due tavoli da Milano: vengono, mangiano e poi ripartono. È un cenone importante, la fame non c’è.

Cosa non dovrebbe mancare nel menu per festeggiare l’anno nuovo?

Oltre le lenticchie e cotechino o zampone, fuori concorso, sicuramente non devono mancare crostacei e frutti di mare. Scampi, gamberi, ostriche, questi pesci nobili. È il pasto più importante dell’anno, e per una sera chi se ne frega della crisi, se si deve stare bene si mangia bene, punto.

Torniamo indietro. A 27 anni come si molla Roma e gli studi economici per tornare a Rivisondoli e improvvisarsi ristoratori? Quanto coraggio ci vuole?

Il coraggio forse è stato dopo. Ho ereditato il ristorante mentre stavo finendo l’università. Allora l’idea era tornare in paese, fare la stagione invernale, che era alle porte, e poi venderlo. Sono venuto più che altro per una continuità d’attività. Invece poi da lì è cominciata la passione, la sfida. Mi sono reso conto che la cucina mi piaceva tantissimo.

Ma la passione già c’era?





No, l’ho scoperta facendo in contemporanea il ristoratore, perché inizialmente stavo in sala, e un corso amatoriale, che poi ho trasformato in professionale, di cucina a Roma. Da lì ho lasciato tutto e ho cominciato quest’attività. Lascio immaginare, partendo da zero, quanti investimenti, quanti corsi, quante letture, quanti giri in grandi ristoranti italiani, europei e non solo, ci sono voluti per arrivare alla cucina che facciamo oggi.

Un percorso-lampo.

È stato un percorso velocissimo, è vero. Forse il più veloce in ambito nazionale. Siamo stati i primi a raggiungere questi risultati partendo dal nulla, e in pochissimo tempo. Però sicuramente sono stati dieci anni dedicati solo al lavoro.

Qual è il segreto che ha portato il Reale tra i migliori ristoranti d’Italia?

Alla base c’è grande voglia di mettersi in discussione sempre, di stare con i piedi in Abruzzo e con la testa in Europa, e non solo. Poi, la mentalità di essere concorrenziali non con il ristorante a fianco, ma con il Ducasse a Parigi, il Celler de Can Roca a Girona (in Spagna, ndr) o il Cracco a Milano.

Pensare in grande, ma rendersi conto che chi sta a Rivisondoli oggi, domani sta a Milano e dopodomani a Londra. Con questa globalizzazione dei mercati e con la velocità di collegamento tra i territori, oggi emergere è molto più facile di ieri, però c’è anche molta più concorrenza.

Quali sono i piatti “biglietto da visita”?

Posso citare un piatto proprio storico, che non ho più in carta, ma che è stato la partenza, l’inizio di questa cucina creativa e rivoluzionaria per l’Abruzzo: il pancotto scomposto. Un piatto poverissimo, con elementi abruzzesi al 100 per cento. Abbiamo lavorato sugli ingredienti, abbiamo rispettato le cotture, a differenza della ricetta originale, e poi l’abbiamo riunito, in modo che fosse un piatto tradizionale servito in chiave moderna, in cui i sapori fossero ancora più accentuati in questo piatto qua che in quello storico, proprio perché si rispetta la cottura.

Quello che invece mi piace tantissimo, e ci abbiamo lavorato veramente tanto, è una gelatina di vitello, naturale, fatta con concentrando il brodo, un po’ come la galantina, affumicata al tè nero, con mandorle, tartufo bianco e liquirizia. Alla fine in questo piatto c’è tanto Abruzzo, però visto in maniera diversa, in un piatto completamente innovativo e moderno.

I voti alti sulle guide sono punti di partenza o di arrivo?

Sicuramente aver portato al “Reale” due stelle, tre forchette, 18,5 punti è stato un grande arrivo. Data la nostra voglia di crescere, data l’età di tutto il gruppo, io sono più grande e ho 35 anni, mentre i ragazzi ne hanno da 24 ai 30, è però anche una grande partenza.

E poi stiamo facendo un progetto innovativo, importantissimo, che partirà a settembre 2011: il centro di formazione gastronomica a Castel di Sangro, all’interno di un monastero del Cinquecento.

Di che si tratta?

Una struttura che non esiste in Italia, di alta formazione gastronomica, per creare gruppi di ragazzi, consulenze, operazioni fuori dall’Abruzzo, tirando però tutta la filiera dei prodotti abruzzesi.

L’esperienza del G8 com’è stata sul piano umano e professionale?

Forse più importante sul piano umano che su quello professionale. Partendo da quest’ultimo, una grande esperienza, grande tensione. Si lavorava in un ambiente molto alto, importante. Il pranzo quello nostro, che è stato quello più atteso, è stato il pranzo delle first lady, dove c’erano solo le donne.

È andata benissimo, con grande attenzione su tutto e grande voglia di far conoscere i prodotti abruzzesi. Una cucina semplice, perché dovevamo rispettare protocolli in base ai gusti e alle culture delle varie persone: chi non mangiava una cosa e chi un’altra. Allora abbiamo deciso di dare un taglio semplice al menu, cercando che il prodotto fosse il protagonista principale.

Sul piano umano, si pensi a che significa stare tre giorni nella “zona rossa”, a contatto con tutti i capi di Stato e di governo, con Obama che ti passava a dieci metri e alla terza volta ti salutava, forse perché stavo in divisa da cuoco. Una zona dove non poteva accedere nessuno, neanche il presidente della Regione, mentre io avevo le cucine lì! Eravamo scortatissimi, monitorati a vista.

Là ho capito che c’è questo mondo talmente alto, ché vive con ritmi e regole tutte sue. Una situazione pazzesca, che capita una volta sola nella vita secondo me.

Negli ultimi mesi si è cimentato anche come scrittore e attore.





È uscito il nostro libro che sta andando bene, edito dalla Giunti, quindi un’edizione importante, che racconta un po’ la nostra vita, il nostro percorso, con tutte le ricette che abbiamo fatto dall’inizio fino a oggi. Poi c’è una sezione, che ho voluto fortemente, dedicata alle eccellenze gastronomiche abruzzesi, dove ho creato apposta ricette facili. Chi compra il libro, oltre a leggere la storia, ha venti ricette ripetibili a casa dove c’è descritto anche il prodotto e il produttore: chi lo produce, come viene prodotto, perché è buono e come farci un piatto.

Come attore è stato molto più divertente. Nel film di Clooney “The American” abbiamo preparato  questi due piatti, ma l’aspetto divertente è che ho fatto modificare il copione! È venuto da me al ristorante il regista Anton Corbijn, che voleva preparassi una minestra di carote e un fagiano arrostito. Avevo capito che il film era non solo girato, ma anche ambientato in Abruzzo, a Castel del Monte, e parlando ho detto: scusate, questi due piatti non esistono lì. Ho fatto inserire una zuppa di lenticchie e castagne e un agnello brodettato e sono stati contenti.

Si trova più a suo agio davanti alle telecamere e con la penna oppure in cucina?

In cucina sicuramente!

La cucina in tv le piace? Che ne pensa di programmi come La prova del cuoco, Cotto e mangiato?

Alla prova del cuoco mi avevano chiamato, ma non ho accettato. Secondo me è giusto che ci sia informazione e programmi tv che parlano di cucina, ma a volte si esagera e arrivano messaggi che in cucina è tutto facile, è divertente, basta prendere tre cose e unirle e abbiamo fatto il piatto in venti minuti.

La cucina d’autore, la vera cucina è una cucina di ricerca, di cultura. Dietro un piatto c’è anche uno studio di molti giorni, di mesi, e molte persone che ci lavorano sopra. Il problema grosso è che il 90 per cento del pubblico non è stata realmente in un ristorante importante.

Vedo che chi viene per la prima volta nel mio ristorante spesso è scettico, perché pensa che si paga tanto, si mangia poco, chissà che mangia, forse cose che non capisce… Si rende conto dopo, naturalmente se ha alla base un minimo di sensibilità, che il ristorante dove c’è una grande materia prima, un lavoro dietro pazzesco, in cui tutte le sfumature sono curate, cambia completamente la sua percezione.

Come si conquista una donna cucinando?

Sicuramente con un piatto caldo. Immagino un piatto cremoso, quindi sensuale. Che abbia profumi, quindi un odore, un’erba aromatica, un ingrediente profumato, che stimolano. Sicuramente un po’ di piccante, di acidità, visto che in generale con le donne se una cosa è troppo liscia non va bene! Ci dev’essere qualcosa di contrappunto. E poi sicuramente lo abbinerei con un grande bicchiere di champagne, perché lo champagne…

L’errore da non fare mai ai fornelli?

Utilizzare una materia prima che non è di grande qualità. Qua c’è da fare tutto un altro discorso. I prodotti di qualità costano e vedo gente che va al discount o cerca di trovare prodotti meno costosi. Se è un problema economico perché non si riesce, mi sta bene. Ma vedo tanti, anche amici miei, con un macchinone pazzesco, due pacchetti di sigarette al giorno, gin tonic in discoteca a 10 euro, poi dico loro ok, ci mangiamo un pezzo di carne buonissima che costa 50 euro al chilo e mi rispondono “che sei pazzo?”. Quello non lo condivido, perché sono prodotti che vai a ingerire. Mangiare bene e selezionare i prodotti è fondamentale.

Parlando dell’Abruzzo, tantissimi produttori fanno cose incredibili, ma hanno difficoltà a venderle perché proprio noi abruzzesi non le mangiamo e andiamo a trovare altre cose. Quello non mi piace culturalmente, perché un prodotto che vado a ingerire farà parte del mio corpo. L’idea che una persona spenda 100 euro di benzina e poi non sia sensibile alla cura del corpo, perché mangiare bene è cura del corpo, beh quello mi fa incazzare.

Ma lei al Mc Donald’s ci va mai?

Una volta l’anno, sempre. Da piccolo impazzivo. Mi ricordo il primo che aprì a Roma, a piazza di Spagna, per una settimana offrivano hamburger. Io vivevo a Roma e mi ricordo che sono andato lì a fare la fila per prendere questo panino. È un’eccezione alla regola di prima.

C’è una persona particolare per cui vorrebbe cucinare qualcosa, e cosa cucinerebbe?

Mi piacerebbe cucinare per il Papa. Anche se c’è stato a Sulmona, quando è venuto, un aperitivo con lui. Però mi piacerebbe l’idea di fare per lui un menu leggero, giocato sui colori chiari, un menu pulito. Lavorare con questi brodi chiari, queste trasparenze. Un menu vicino al bianco.

In generale mi piacerebbe comunque fare cene per personaggi che nel loro mondo sono importanti, mi piacerebbe creare questi menu apposta per loro, che ricordino la loro filosofia, il loro stile di vita, il loro fare. Che ricordino queste persone.

Può anticipare qualche novità in serbo nel 2011 per il menu?

Quest’anno faremo un grande lavoro sul pesce, perché sulla carne abbiamo già lavorato tantissimo e abbiamo voglia di cimentarci con il pesce. Il pesce nostro, dell’Adriatico, il pesce azzurro. Vogliamo iniziare a mettere in menu quest’ingredienti. Ora ce l’ho, però un po’ meno rispetto alla carne. Vogliamo fare un menu 50-50, dove però dietro al pesce ci sia un grande lavoro.

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