GRANDI RISCHI: IL PROCURATORE COMO, ”TESTIMONI E PROVE VANNO VALUTATI”

31 Ottobre 2014 12:34

L'Aquila - Cronaca

L'AQUILA – “La prova testimoniale va valutata, esiste e non è campata in aria”.

Così il procuratore generale, Romolo Como, nella sua replica al termine delle arringhe difensive nel corso del processo di appello alla commissione grandi rischi, i cui sette esperti in primo grado sono stati condannati a sei anni di reclusione con l'accusa di aver falsamente rassicurato i cittadini aquilani al termine della riunione del 31 marzo 2009 e sottovalutato il rischio sismico a 5 giorni da quella che sarebbe stata la scossa distruttiva del 6 aprile, causando la morte di una trentina di loro.

“Sono state rese testimonianze dirette perché i parenti vivevano accanto alle vittime – ha continuato il Pg – Quindi non hanno riferito parole per sentito dire né il derelato”.





Como ha bacchettato le difese degli imputati: “Penso un po' all'antica ma certi termini che ho sentito sulla sentenza sono inaccettabili: 'sentenza raccapricciante, squinternata, non potrebbe leggere giudizio di legittimità in Cassazione'. Ci sono state critiche esterne, convegni, anche da parte di colleghi, ma devono rimanere fuori dal processo in corso. Si è arrivati a definire criminale il comportamento di qualche giornalista che più o meno correttamente faceva il suo lavoro ma sembra quasi sia colpa loro delle morti delle persone”.

Nel sottolineare che “se la sentenza di primo grado ha una colpa è stata quella di voler analizzare troppo a fondo alcuni profili giuridici”, Como ha spiegato che “mi hanno rimproverato di aver detto che si trattava di quattro amici al bar”.

“Ma se lo avessi detto avrei dovuto chiedere l'assoluzione – ha continuato -. Non lo erano, erano la commissione Grandi rischi e siamo qui per questo motivo. Dello scarico di energia si è parlato in presenza di tutti”.

Secondo il Pg, c'è stato “un atteggiamento di superficialità di fronte alla conoscenza del rischio sismico che invece tutti riconoscono”.





DIFESA CALVI: “VOLETE CONDANNARE UN FUTURO NOBEL?”

“Il professor Calvi è un luminare che probabilmente tra 5-6 anni avrà un premio Nobel”: così Vincenzo Musco, difensore del professore Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre, responsabile del progetto Case, tra gli imputati del processo d'appello ai componenti della Commissione Grandi Rischi all'epoca del terremoto dell'Aquila, accusati di omicidio colposo e lesioni colpose.

“Durante la riunione della commissione Grandi rischi, Calvi – ha continuato Musco – ha sottolineato che lui era un tecnico e le decisioni spettavano ad altri. E poi lui non ha partecipato ad alcuna conferenza stampa, sedendosi in disparte. Ma veramente potete condannare Calvi per aver espresso un giudizio scientifico?”.

“Ha dato un giudizio scientifico e gli date 6 anni di reclusione per aver cagionato la morte delle persone?”, ha aggiunto l'avvocato Musco. “Qual è la regola cautelare che ha infranto? Io non sono riuscito a trovarla. Si tratta di una rottura del concetto di colpa come lo abbiamo costruito noi giuristi italiani in 200 anni”. Quindi, da parte del difensore, una critica al giudice di primo grado, Marco Billi.

“Noi non possiamo creare norme ma il giudice monocratico dell'Aquila lo ha fatto a partire da un dato aleatorio e del tutto generico – ha concluso Musco -: ha creato la norma del rischio. Siamo di fronte a un giudizio di colpa senza colpa”. Per Calvi, il legale ha chiesto il “proscioglimento per non aver commesso il fatto”. Quella di Musco è stata l'ultima arringa difensiva perché l'altro intervento previsto, quello di Alfredo Biondi, che assiste l'allora ordinario di fisica dell'università di Genova, Claudio Eva, è saltato come comunicato dal legale attraverso una lettera.

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