GRANDI RISCHI: DE BERNARDINIS, DAL BICCHIERE DI VINO A CAPRO ESPIATORIO

di Alberto Orsini

20 Novembre 2015 21:52

L'Aquila - Cronaca, Video

L’AQUILA – “Intanto ci facciamo un buon bicchiere di vino di Ofena?”, chiede Gianfranco Colacito, direttore del giornale web Inabruzzo.com, ricevendo da Bernardo De Bernardinis la risposta “Assolutamente, un Montepulciano di quelli Doc”.

È il 31 marzo 2009, a cinque soli giorni dal sisma del 6 aprile 2009 che distruggerà L’Aquila.

E questa è la metafora più eloquente della “rassicurazione” dell’ex vice capo dipartimento della Protezione civile, unico non sismologo tra i 7 esperti della commissione Grandi rischi, e unico riconosciuto colpevole, dopo tre gradi di giudizio, in nome del popolo italiano, di omicidio colposo plurimo e lesioni personali colpose.





Braccio destro di Guido Bertolaso, che ora sotto processo potrebbe finirci per le stesse accuse, è stato co-gestore dell’emergenza come vice commissario delegato.

Un “bicchiere dell’inganno”, lo hanno definito i consulenti dell’accusa nel processo di primo grado, ma che alla fine si è rivelato fatale soprattutto per il funzionario pubblico originario di Ofena (L’Aquila), stimato nell’ambiente e alla fine riconosciuto “capro espiatorio” della vicenda anche da un avvocato di parte civile esperto e combattivo come Attilio Cecchini.

Un episodio, quell’intervista rilasciata prima della riunione, che si è rivelato determinante alla fine, e sul quale, non a caso, nella sua arringa difensiva al “Palazzaccio”, l’ultima dopo 5 anni di indagini e udienze, si era soffermato l’avvocato di De Bernardinis, Filippo Dinacci, arrivando a invocare la legge sulla stampa per come era stata posta e svolta la domanda in particolare e il colloquio in generale.

Il video è diventato un simbolo delle rassicurazioni della Grandi rischi, soprattutto perché riproposto, come fosse una beffa insopportabilmente amara, a rotazione 24 ore su 24 dalle tv locali aquilane subito dopo la scossa delle 3.32, quando 309 corpi erano ancora caldi.





“Non contesto il meccanismo della nostra Repubblica, mi ci sono sottoposto con serenità e volontà – disse 3 anni fa De Bernardinis, appena condannato in primo grado – Di fronte a Dio e agli uomini non mi sento di aver fatto cose che avrei potuto fare altrimenti”.

Ma alla fine, attestato che la commissione non era formalmente riunita, perché erano presenti 4 componenti su 10, e che comunque gli scienziati non dovessero comunicare alcunché all’esterno, l’unico nesso causale nel cambiamento del comportamento degli aquilani, da timorosi delle scosse e pronti a uscire di casa a rassicurati e sereni nel rimanere dentro, è stato ravvisato nelle dichiarazioni, indotte ma incaute, di De Bernardinis.

Un ragionamento, quello dei giudici di legittimità, che, in attesa delle motivazioni del collegio presieduto da Fausto Izzo, ricalca appieno quello fatto dalla Corte d’Appello che ha ritenuto il numero 2 del dipartimento “il responsabile della comunicazione in quel frangente”, autore anche di altre affermazioni errate.

E, per questo, causa della morte di 13 persone, mentre per le altre 16 del gruppo originario di 29 vittime non è stato riconosciuto il nesso causale né in Appello né tantomeno dalla Cassazione, che non ha aggiunto nuovi casi dimostrati, come chiesto pure dal sostituto procuratore generale, respingendo tutti i ricorsi e lasciano la sentenza completamente inalterata.

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