FUMO NEGLI UFFICI: QUANDO IL GEOMETRA DISSE SI’ COLISTA, L’AQUILANO CHE SI RIBELLO’ IN COMUNE

di Roberto Santilli

18 Dicembre 2015 08:22

L'Aquila - Abruzzo

L’AQUILA – “Il divieto di fumare negli uffici pubblici arrivò come un fulmine a ciel sereno. Io mi ribellai immediatamente, non perché non fosse giusto e non sia giusto nella sostanza, ma perché non ritenevo corretto il modo in cui veniva imposto”.

Fu una vera e propria sollevazione quella intrapresa all’inizio degli anni ’90 da Fabio Colista, storico geometra dell’Ufficio tecnico del Comune dell’Aquila andato in pensione il 1° gennaio del 2001, dopo trentasette anni di onorato servizio.

Colista, fratello di Franco, dirigente della prefettura del capoluogo ed ex dirigente sportivo, da aquilano doc che però vive a Pescara con la famiglia, cuore matto per la Torino calcistica, in quegli anni aveva l’ufficio all’ultimo piano della sede comunale di Palazzo Margherita, in piazza Palazzo, sede che nel giro di qualche anno tornerà, salvo intoppi, completamente ricostruita dopo il sisma del 6 aprile del 2009.

Il suo, va ricordato, fu un caso nazionale.





E, a distanza di tanto tempo, suscita in Colista, che va per gli ottanta, una sana indignazione.

“Sembrava una iattura – racconta ad AbruzzoWeb – coi Monopoli di Stato che ti vendevano le sigarette e con lo Stato che ti vietava così, di forza, di non fumare più negli uffici. Il mio carattere è sempre stato combattivo, ma onesto. Capivo e capisco la questione della salute, visto che io stesso ho smesso di fumare, senza problemi, nel 2001, su ordine del medico. Rientrando a casa dopo la visita e posando per sempre il pacchetto di cicche sul tavolo, ma all’epoca della mia ribellione la questione era di principio e non potevo lasciarla cadere così, senza reagire”.

“La mia stanza era diventata ormai quella dei fumatori, all’epoca il sindaco era Enzo Lombardi – continua nel racconto Colista con una punta di ironica malinconia – si chiudeva la porta, si apriva una finestra, da dove si guardava via Paganica, col tabaccaio all’angolo e la storica sede del Partito comunista, e si fumava in santa pace. Io e i miei colleghi fumatori continuammo per un po’ questa sorta di rivoluzione interna, ma solo nelle ore ‘morte’ degli uffici chiusi al pubblico e nei momenti di pausa, con grosse botte di aria a mandare via il fumo”.

Proprio sotto la sede del Pci accadde uno dei tanti episodi da ricordare.

“Uscimmo dal Comune io e dei colleghi, c’erano anche il caro Bruno Nardis e Giampaolo Arduini, incontrato per caso, che da ex assessore si era, diciamo, allontanato volontariamente. Dalla sede ‘rossa’ sbucò un personaggio politico molto conosciuto e mi venne in mente di giocarmi dei numeri al lotto. Andai da Sandro, il tabaccaio, per farmi dare la ‘Smorfia’, io che non giocavo mai. Avrei voluto puntare sul soprannome di questo politico, sul politico ‘allontanato’, l’amico Arduini, e sull’abito indossato dal politico comunista. Uscì un ambo, mancava il comunista. Ma non giocai”, ricorda divertito l’ex geometra, che decise di chiudere con quell’esperienza ultratrentennale perché, ammette, “non sentivo più lo spirito di un tempo. Erano cambiate tante cose, qualche collega non c’era più, ci fu il caso del papà del collega che morì da un giorno all’altro senza che noi potessimo omaggiarlo al funerale, perché qualcuno dimenticò di comunicarlo all’ufficio. Insomma, pur se in forze, non aveva più senso continuare. Ed io, che sono legato alla pubblica amministrazione, scelsi di non mettermi a lavorare in privato, nel rispetto di un mondo che mi aveva dato molto nella vita. Non è che potevo sputare nel piatto in cui avevo mangiato”.





“Insomma, un giorno andai in ufficio, presi un pezzo di carta e scrissi al sindaco. Me ne andai in pensione così”, dice poi Colista non senza una dignitosissima lacrima.

Intanto, la sua vita continua a un’ora e mezza dall’Aquila, lontano abbastanza dall’abitazione nel quartiere di Pettino – “la notte del terremoto siamo scappati con la famiglia, di cui fanno parte due cani e un gatto” – dal cantiere più grande d’Europa e lontano “da ormai quindici anni dai lavori pubblici. Una volta smessi i panni di geometra, è come se per me si fosse chiusa quella parte della mia vita. Certo, ogni tanto all’orecchio qualcosa arriva, ma svanisce subito. Quel che posso dire, comunque, è che non oso immaginare la difficoltà di una ricostruzione post-sisma, per cui è necessaria l’opera di una ‘triade’: politica, tecnici e cittadini. E all’Aquila non credo sia così, pure se la ricostruzione, in modo irregolare, va avanti”.

“Il mio sogno è di riuscire a vederla rimessa in piedi almeno in grossa parte”, si commuove sul finale Colista, che ogni volta che torna sotto il Gran Sasso fa tappa obbligata al cimitero, per stare un po’ con i suoi cari e per dare una piccola preghiera a chi è stato portato via da quel maledetto sisma.

“Il pensiero alla mia città è costante, nutro per lei un sentimento fortissimo che non può abbandonarmi mai”, conclude Colista con quella cadenza aquilana che, siamo sicuri, si sente benissimo anche sulla costa pescarese.

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