FUMETTI: IL MAESTRO CLAUDIO VILLA, ”COSI’ CREO LE MIE COVER; ACCELERO SUL TEXONE”

di Alberto Orsini

22 Ottobre 2017 08:00

Italia -

L’AQUILA – Ha creato il volto e l’aspetto di Dylan Dog, e da 23 anni e 285 numeri (and counting, direbbero gli inglesi) realizza le copertine del più importante fumetto italiano, Tex.

Sarebbe già sufficiente per definire Claudio Villa, 58 anni tra dieci giorni, di Lomazzo (Como), un maestro del fumetto italiano, ma non è finita qui.

Autore delle prime 41 cover dell’indagatore dell’incubo, realizzatore di storie di questi due personaggi ma anche di Martin Mystere, e perfino di una storia Marvel di Devil e Capitan America, creatore di Nick Raider, ce n’è di tutto e di più.

Alla vigilia della sua partecipazione a Lucca Comics & Games, la più importante manifestazione italiana del settore, ad AbruzzoWeb Villa racconta il suo metodo di lavoro, le sue tecniche e numerosi aneddoti sui principali lavori della sua carriera.

I dettagli di impostazione delle cover sulla scia di quanto voluto da Sergio Bonelli e secondo gli insegnamenti della leggenda Aurelio “Gallep” Gallepini, quello che Tex lo ha disegnato per primo, ma anche lo studio al buio di un cinema sull’attore Rupert Everett che fa di lui, se Tiziano Sclavi ne è il padre, quanto meno la “madre” grafica di Dylan Dog.

C’è anche una notizia: un’accelerazione sul suo atteso “texone”, Eagle Pass, da anni in lavorazione, che potrebbe vedere la luce molto presto.

Come avviene tecnicamente il briefing per una copertina di Tex e come poi si sviluppa il lavoro?

Quando c’era Sergio Bonelli, era lui che si occupava di scegliere l’immagine adatta per la copertina. Tex ha i suoi “comandamenti” e la copertina, nel tempo, si è “consolidata” nello scegliere un’immagine dall’interno dell’albo, che sia significativa, che non racconti troppo del finale, che sia “western”, che faccia risaltare Tex, che non lo metta in situazione di superiorità schiacciante rispetto alla “minaccia” eccetera. Insomma, l’immagine di copertina deve rispondere a un bel po’ di domande, prima di diventare “copertina”. Sergio faceva fare una fotocopia della scena che aveva scelto e me la mandava, poi ci sentivamo per telefono per una veloce, ulteriore spiegazione. Da lì partivo a schizzare. A volte, partendo dalla sua indicazione, mi venivano altre idee e le sviluppavo. Poi era sempre lui a scegliere la definitiva. Da quando non c’è più , mi viene mandato il pdf dell’albo e io uso lo stesso criterio che usava Sergio. Cerco un’immagine che racconti, ma non troppo, la storia, che non dia l’impressione di essere già stata vista e mi faccio dare il titolo della storia. Anche quello aiuta a focalizzarsi sull’immagine migliore. A parole sembra facile, ma poi…

Mai avuta la “sindrome” da foglio bianco?

Praticamente mi accompagna sempre. Soprattutto per le copertine. Ci si fanno molte domande: sarò in grado di mantenere il livello di qualità necessario? L’immagine che ho in mente corre il rischio di apparire come “già vista” e confondere il lettore? Non sarà troppo banale? Tex ne esce “da eroe” o viene sminuito? Sono cose che ti fanno sentire come un equilibrista sul filo.

C’è stata qualche cover particolarmente ostica da impostare che ricorda nitidamente?

Copertina dopo copertina, anno dopo anno, le situazioni avventurose del “mondo di Tex” si ripetono inevitabilmente. Già quando era Sergio Bonelli in persona che si occupava della definizione dell’immagine di copertina, mi parlava spesso di “disperazione” nel tentativo di cercare l’immagine giusta e significativa per una storia. La “disperazione” può anche portare a “osare” di più e trovare strade che, altrimenti, non si sarebbero mai percorse. È il caso della copertina numero 642 “Appuntamento con la vendetta”. Di solito si usa come riferimento una scena significativa della storia, la si rende più evocativa e diventa l’immagine giusta. In questa non si trovavano immagini che rispondessero a questi requisiti e l’unica soluzione fu quella di tentare la strada della doppia immagine. Un azzardo per la “filosofia” delle copertine di Tex, dettato proprio dalla “disperazione”. Boselli, curatore e sceneggiatore principale, ne fu subito entusiasta e così facemmo un passo “oltre” la barriera della scena singola.

C’è il timore di ripetersi?

Dopo 600 e passa copertine di Tex dove lo si vede in tutte le salse, più che un timore è un terrore. Sarebbe divertente farci una storia, sulle paure di un copertinista.





Ricontrolla tutte o alcune possibili cover simili già uscite o preferisce andare a istinto e a memoria?

Controllarle tutte è un dovere. Ho un librone su tutte le copertine fatte da Galep e un “album di figurine” che i meravigliosi ragazzi del magazzino Bonelli mi hanno fatto con tutte le copertine dal 401 in poi, comprese le “cartoline”, i Maxi, gli speciali eccetera. Nonostante questa opera di consultazione si ripeta ogni volta, può ancora capitare che una copertina ricordi molto da vicino una scena già vista.

Qual è la o le cover cui è più affezionato?

Spero la prossima che farò. Nel senso che spero di farla meglio di quella fatte finora.

L’insegnamento principe di Gallepini per la copertina perfetta?

Pochi elementi ben dosati. Inquadratura che “racconta”. Attenzione all’atmosfera.

Strumenti tradizionali o digitale?

Tradizionali. Sono ancora un dinosauro che resiste con carta, pennini, pennarelli e pennelli.

Perché?

Amo disegnare sulla carta, sentirne la superficie, cercare di capirne i limiti, se è più o meno liscia, le sue possibilità, saperla sfruttare per evocare sensazioni. Sfiorarla con il pennello, graffiarla con il pennino. C’è tutto un mondo di sensazioni nel lavorare sulla carta.

Si può già dire qualcosa su che cosa stia bollendo in pentola per la copertina di Tex 700?

Non ho ancora messo l’acqua nella pentola. È presto.

A quale cifra tonda vorrebbe arrivare? 800, 900, 1.000?

Tex direbbe “Quien sabe?”. Evito di chiedermelo e lascio fare a quel che succederà.





Il discorso sulle cover si incrocia con quello sull’ormai leggendario “texone” Eagle Pass: è ottimistico sperare di vederlo nel 2018 per i settant’anni del personaggio?

Il confine tra “leggendario” e “barzelletta” può essere sottile. Ma questo “ritardo” ha le sue giustificazioni. Magari un giorno racconterò tutto in un libro… che ci metterò dieci anni a scrivere! (ride) Su date di uscita, preferisco non dire niente. Ma ci sto dando dentro perché anch’io non vedo l’ora che sia finito.

Dopo i lavori sui personaggi Marvel le piacerebbe trovarsi a disegnare qualcosa di completamente nuovo e diverso dal ranger?

La voglia ci sarebbe, ma Tex è un filo permaloso.

In caso positivo, un personaggio completamente suo o qualcosa di già esistente?

Adoro i supereroi classici americani. In particolare Batman. Passione penso condivisa da molti miei colleghi. È un “sogno proibito”. E scalda le notti insonni.

E ancora, cover o storie complete?

Finché avrò da fare cover, le farò. Dopo il “texone” vedrò che cosa mi proporrà la casa editrice.

Ha dato un volto e un’immagine a Dylan Dog: Sclavi racconta che lo schizzo decisivo fu da lei realizzato al buio di un cinema davanti a un film di Rupert Everett, può raccontare com’è andata?

I miei schizzi iniziali sul personaggio non piacquero e fu Sclavi che decise di ispirarsi al volto di Rupert Everett. Dato che allora non era molto conosciuto in Italia, mi consigliò di andare al cinema per vederlo protagonista in un film intitolato “Another country”. Dovevo capire la “geografia” della sua faccia e mi portai nel cinema un taccuino dove presi “appunti”. Schizzai velocemente le masse per “capirlo” meglio. Poi elaborai a casa gli studi.

Il Dyd in camicia bianca invece che rossa è spuntato per un problema di colorazione o davvero perché fosse così e come mai?

In copertina abbiamo avuto solo un Dylan, se non ricordo male, con la camicia bianca. Fu un tentativo, ma cambiava la temperatura alla situazione. La camicia rossa “raccontava” di più ed è giusto che sia diventata parte integrante della sua “divisa”.

Che effetto le ha fatto il ritorno di Sclavi alla scrittura dopo tutto questo tempo?

Pura gioia. I grandi come lui hanno tanto da dare ancora. E noi lettori siamo “affamati” di sue storie.

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