FOTOGRAFIA: L’EREDITA’ DEI CAVUTI IN MOSTRA A MONTESILVANO

di Alessandra Renzetti

28 Settembre 2014 17:37

Pescara -

MONTESILVANO – Tutto iniziò per merito del nonno Pantaleone, il primo della famiglia Cavuti che, tornato nel 1925 dall’America, dov’era stato emigrante, mise in piedi la sua attività da fotografo nello studio di Montesilvano (Pescara) creato con tanti sacrifici.

In questi giorni il Comune di Montesilvano ospita una ricca mostra fotografica in piazza Belvedere che omaggia la stirpe dei Cavuti, fotografi da tre generazioni.

Hanno fatto del loro lavoro la loro vita, come spiega ad AbruzzoWeb un nipote del signor Pantaleone, Davide Cavuti, aprendo in pochi anni due succursali del loro principale laboratorio di Montesilvano: una a Spoltore e l’altra a Loreto Aprutino.

Quando è iniziata la carriera di suo nonno Pantaleone Cavuti?

Mio nonno andò, come molti nonni d’Italia, in America per far fortuna; lì ebbe modo di conoscere molte persone, fra cui fotografi, uno dei quali francese che gli insegnò il mestiere. In quegli anni la fotografia era una novità e d in questo modo ha iniziato a guadagnare un po’ di soldi.

Le ha mai raccontato il modo in cui ha capito che quella sarebbe stata la sua strada?





A proposito di ciò potrei raccontare un aneddoto che in pochi conoscono: lui era tra il New Jersey e la Pennsylvania, in zone in cui c’era un’elevatissima presenza di persone di colore provenienti dall’Africa. Un giorno fece una foto a uno di loro e per sbaglio stampò la foto un po’ più chiara, ma questo fatto piacque tanto alla comunità degli africani, a tal punto che iniziarono a fargli pubblicità e da lì iniziò il suo successo. Con il tempo perfezionò le sue tecniche e divenne un fotografo di grande fama.

Quando tornò poi in Italia?

Nel 1925. Il nonno era originario di Miglianico (Chieti), ma fu l’amore per una donna di Montesilvano a fargli maturare la scelta di un trasferimento in questo comune del Pescarese dove diede il via a un’attività che ancora oggi portiamo avanti. Comprò un pezzo di terra dove costruì una casetta e il suo studio, proprio nel periodo in cui a Montesilvano non c’era nulla e si viveva di pastorizia. Ebbe cinque figli, tutti fotografi, e anche i figli dei suoi figli diventarono fotografi, fra cui io.

Quali sono i soggetti maggiormente fotografati?

Sicuramente ritratti in studio, ma anche eventi, gare, per esempio io ho delle lastre originali della ‘Coppa Acerbo’, che attraversava Via del Circuito, Spoltore, Cappelle, l’attuale via Vestina di Montesilvano dov’è ancora l’ormai 90enne studio del nonno.

Oggi i vostri figli hanno intenzione di continuare a lavorare con il mondo della fotografia?

Al momento no, non sono intenzionati, ma siamo fiduciosi perché i nostri ragazzi stanno ancora studiando quindi magari in futuro lo vorranno.





Questa attività, portata avanti parallelamente da tanti parenti, non ha mai creato contrasti tra di voi?

Fortunatamente no, soprattutto perché, essendo dislocate anche le nostre attività, ognuno ha avuto modo di occuparsi del suo ambiente e di diverse realtà.

Lei di che cosa si occupa prevalentemente?

Io nei primi anni di attività ho scelto di non stare nello studio di papà perché non amavo l’ambiente chiuso, e mi sono occupato di fotografia di scena per il teatro, sono stato cameraman, fotoreporter per i giornali, poi ho deciso di infilarmi nello studio fotografico anche per dare una mano a papà che intanto invecchiava; posso dire che amo soprattutto la stampa in bianco e nero.

Nell’era della macchinetta digitale, è complicato essere fotografi?

Purtroppo sì, è un brutto periodo anche per i fotografi perché con le moderne macchine fotografiche non è difficile fare delle foto ad alta risoluzione scansando in qualche modo il ruolo di chi, come me, mangia pane e fotografia da sempre.

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