ETERNIT: IL KILLER INVISIBILE HA COLPITO ANCHE L’ABRUZZO

di Laura Biasini

14 Febbraio 2012 08:06

Regione - Cronaca

L’AQUILA – Mentre gli aquilani avevano appena iniziato a vivere la tragedia del terremoto del 6 aprile 2009, c’era un gruppo di abruzzesi che apprendeva la notizia del disastro mentre si trovava a Torino per assistere all’apertura del processo contro la multinazionale Eternit che si è concluso oggi con la condanna a 16 anni per i vertici dell’azienda.

La delegazione venne a conoscenza del sisma appena arrivata a Torino per la prima udienza preliminare, come ricorda il presidente dell’Osservatorio nazionale sull’amianto, Ezio Bonanni.

Bonanni sottolinea ad AbruzzoWeb che, tra le parti civili, c’è anche il Comune dell’Aquila.

Anche l’Abruzzo, infatti, ha pagato un tributo di vittime al materiale killer, seppur in maniera minore rispetto ai grandi numeri di Casale Monferrato(Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). 

Ben 78 persone dal 1996 al 2003 sono decedute a causa delle gravi malattie causate dal contatto con l’absesto. In tutta Italia le vittime accertate sono almeno 3 mila.

“È una sentenza storica – ha detto Bonanni – che conferma la bontà delle tesi che sosteniamo da anni”.

“Inizia la resa dei conti – ha proseguito – quanto accaduto oggi avrà conseguenze su tutte le cause che sono aperte in tutta Italia: 500 penali e oltre 10 mila civili”.





“Quello dell’amianto è un problema assolutamente attuale, con una media di 5 mila persone che ogni anno muoiono per problemi legati al contatto con l’absesto”, ha concluso Bonanni.
 
L’Osservatorio chiederà l’estradizione dei due condannati “affinché – si è appreso da un comunicato – siano assoggettati alla pena comminata dal tribunale e siano richieste le misure cautelari e reali in ordine agli altri procedimenti penali”.

IL PROCESSO

Il tribunale di Torino ha condannato a 16 anni di carcere ciascuno, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, di 65 anni, e il barone belga Louis De Cartier De Marchienne, di 91, ex manager, ai vertici della multinazionale Eternit, per disastro doloso e rimozione di misure antinfortunistiche. La procura aveva chiesto 20 anni per ognuno dei due imputati.

“Si tratta di una sentenza storica – come ha sottolineato in una nota il ministro della Salute Renato Balduzzi, che ha aggiunto – Ma la battaglia contro l’amianto non si chiude con una sentenza, sia pure una esemplare”.

Il giudice Giuseppe Casalbore, che ha pronunciato la sentenza, ha disposto diversi risarcimenti provvisionali. In particolare, un risarcimento di 70 mila euro per l’associazione “Medicina democratica” e per il Wwf, di 100 mila euro per l’Associazione nazionale esposti amianto, di 4 milioni per il comune di Cavagnolo (Torino) e di 15 milioni per l’Inail.

Risarcimenti mediamente di 100 mila euro ciascuna per le sigle sindacali, parti civili nel processo. Inoltre 25 milioni per il comune di Casale Monferrato (Alessandria), 30 mila euro per ogni congiunto di ciascuna vittima e 35 mila euro per ogni ammalato. In aula, piena fino all’inverosimile, alla lettura della sentenza grida, lacrime e applausi da parte dei familiari delle vittime.

“È una sentenza che ha sancito la colpevolezza dei responsabili ed è un monito di grandissima rilevanza, in questo momento di difficoltà finanziarie: ci dice che il dato economico è importante, ma che la vita umana lo è di più”, ha dichiarato Bruno Pesce, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime dell’amianto.

Il dispositivo fa però una distinzione tra gli stabilimenti italiani, dichiarandoli colpevoli per quanto riguarda Casale Monferrato e Cavagnolo, mentre il reato sarebbe estinto per prescrizione per gli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli).





Il presidente del tribunale Casalbore è passato poi ad elencare gli indennizzi a favore delle parti civili, che sono alcune migliaia. Al palazzo di giustizia di Torino sono arrivati 26 pullman, non solo da Casale Monferrato, dove si è registrato il maggior numero di vittime, colpite dal mesotelioma pleurico o dall’asbestosi, ma dal resto del paese e dalla Francia, dove si sono verificate tragedie analoghe.

Tre maxi aule sono state aperte per ospitare le oltre mille persone arrivate per ascoltare il verdetto del più grande processo mai celebrato in Italia, e non solo, 160 le delegazioni da tutto il mondo, per l’amianto. Le parti civili erano 6.392, quasi tremila i morti e i malati per la fibra killer, almeno 2.300 le vittime negli stabilimenti italiani, a partire dal 1952, di Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli. 1.500 sono i morti a Casale, lo stabilimento più grande in Italia, chiuso nel 1986.

Il pool dell’accusa, composto da Raffaele Guariniello, Gianfranco Colace e Sara Panelli, in 62 udienze, dal 2009, ha dimostrato, secondo i giudici di primo grado, come i capi della Eternit, il magnate svizzero Schmidheiny e il barone belga De Cartier De Marchienne, avessero continuato, pur sapendo che l’amianto uccide, a mantenere operative le fabbriche per fare profitto. E che avrebbero omesso di far usare tutte quelle precauzioni, come l’uso delle mascherine o dei guanti, per evitare che migliaia di persone si ammalassero di tumore al polmone o di absestosi.

Durante l’arringa finale Guariniello ha chiesto 20 anni per ognuno dei due imputati, che non si sono mai presentati al processo.

La loro difesa, rappresentata dagli avvocati Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva per Stephan Schmidheiny, e da Cesare Zaccone per De Cartier, sosteneva che entrambi sono innocenti, che all’epoca dei fatti non si sapeva quanto fosse nocivo l’eternit e che, infine, troppi anni sono passati da allora affinché oggi si possa preparare una difesa equa: mancherebbero i documenti e le testimonianze.

Secondo l’accusa il gruppo svizzero della famiglia Schmidheiny fu ai vertici della Eternit dal 1972 al giugno dell’86, dal ’52 al ’72 invece l’azienda faceva capo, secondo i pm, alla famiglia Emsens e al barone Louis de Cartier, formalmente presente nel consiglio di amministrazione dal ’66 al ’72.

“Comunque vada è un processo storico – ha dichiarato il pm Guariniello, appena arrivato nella maxi aula uno – È il più grande processo nel mondo e nella storia in materia di sicurezza sul lavoro”.

“C’è stato un grande interesse da parte di tutti i paesi in cui si è lavorato l’amianto. Questa è la dimostrazione che si può fare un processo. Bisogna lavorare per fare giustizia, noi abbiamo avuto aiuto da tutte le istituzioni”, ha concluso Guariniello.

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