QUALE FUTURO PER LA STRUTTURA ABBANDONATA A SE STESSA A L'AQUILA? TRA PROMESSE NON REALIZZATE, SPERANZE PERDUTE E INCHIESTE GIUDIZIARIE

ERA IL PARCO SCIENTIFICO E TECNOLOGICO: ATTREZZATURE FERME E SEDE DISTRUTTA

di Filippo Tronca

3 Aprile 2014 08:04

L'Aquila - Cronaca

L’AQUILA – Parco Scientifico e Tecnologico d’Abruzzo. Nel lontano 1993, ultimi scampoli di prima repubblica, con Vincenzo Del Colle regnante in Abruzzo, era stato presentato come il volano che avrebbe fatto decollare l’economia abruzzese nei cieli tersi dell’innovazione.

Un consorzio in cui finalmente facevano sistema la Regione, gli enti locali, le università e i privati, per garantire alle aziende un prezioso aiuto nella progettazione avanzata, e nella sfida della competizione all’alba della globalizzazione dei mercati.

Di quel sogno, di tutta quella retorica, resta oggi all’Aquila, in via Carlo Confalonieri, quella dei tre semafori in zona Santa Barbara, un grande edificio vuoto, gravemente lesionato dal sisma, circondato da ortica e silenzio.

Resta l’amarezza di Bruno Peretti, dipendente del Parco, in cassa integrazione dal giorno dopo il terremoto. L’ultimo dei samurai, di oltre 100 persone che lavoravano al Pstda nei tempi d’oro.

“Ho lavorato lì dentro dal 2005 al 2009 – racconta Bruno ad AbruzzoWeb – ero il responsabile del settore funzionalità e servizi. Poi è arrivato il sisma, la sede è stata chiusa, da allora sono in cassa integrazione. Dei 6 dipendenti con contratto a tempo indeterminato, 3 sono andati a lavorare altrove, io e un’altra collega viviamo con un assegno mensile da 800 euro al mese che si è ridotto agli attuali 500, pagato puntualmente… con mesi di ritardo. La sesta persona è stata richiamata a lavorare saltuariamente, ma non viene pagata, e nel frattempo non percepisce più la cassa integrazione”.

Ma non è tanto l’aspetto economico che indigna Peretti. “Da 5 anni – spiega ancora – siamo stati abbandonati. Non sappiamo nulla né di progetti futuri né a che cosa andremo incontro. L’edificio inagibile è di proprietà della Regione, ma non sappiamo se e quando cominceranno i lavori di ristrutturazione, e a quale scopo”.

“Nel Parco – ricorda il dipendente – lavoravano ingeneri e tecnici di altissimo livello, si portavano avanti ricerche importanti, come il monitoraggio ambientale e i test di prodotti innovativi. Chiuso il Parco, in tanti sono andati via dall’Aquila. E poi ci si lamenta della fuga dei cervelli…”.

Dentro quell’edificio, per di più, rivela Bruno, “ci sono attrezzature di grande valore, e nessuno ancora ha provveduto a portarle in un luogo più consono e sicuro”.

Attrezzature costate centinaia di migliaia di euro: plotter industriali, computer, laboratori di ingegneria elettrica. E soprattutto una camera anecoica, “un ambiente insonorizzato impiegato per testare strumenti musicali, microfoni, altoparlanti, per misurare la rumorosità di macchine e dispositivi meccanici, per effettuare prove di compatibilità elettromagnetica”.

“È l’unica camera anecoica che abbiamo in Abruzzo – si accalora Peretti – ed è triste vederla lì inutilizzata in un edificio terremotato. Prima era utilizzata dalla Rai e da altre importanti aziende che arrivavano anche da fuori regione”.

Quando è arrivato il terremoto, il Parco scientifico  era già in via di smantellamento. Affondato dal rapporto sempre più conflittuale tra Regione, privati e Università. Quelli che dovevano fare rete e sinergia.





UNA STORIA TORMENTATA

Il primo presidente del Parco fu il professor Diego Barba, ingegnere e docente alla facoltà Ingegneria dell’università dell’Aquila. Grazie ai milioni di euro di fondi Pop, soldi pubblici dei contribuenti europei, il Parco poté dotarsi all’Aquila di un Centro integrazione sistemi e di sensoristica ambientale e di un laboratorio in Valpescara a Chieti dotato di attrezzature per dare supporto alle piccole e medie imprese nel controllo di qualità di processo e di prodotto.

E sempre con fondi Pop e con finanziamenti del ministero dell’Università, a partire dal 1996, il Parco visse il suo momento d’oro, con tanti progetti portati avanti a cui lavoravano oltre un centinaio di persone.

La svolta, o meglio l’inizio della fine avviene nel 2003. Sempre più aspri si fecero i dissidi tra il presidente Barba e i soci privati. Barba venne messo in minoranza, e prima dell’addio si vendicò con una lettera al vetriolo inviata al Senato, in cui denunciava “anomalie nell’utilizzo dei fondi”, “la modifica dello statuto del Parco in palese difformità con quanto disposto dalla legge regionale”, e di “finalità lucrative per i soci privati attraverso il trasferimento di risorse alle società private facenti parte direttamente o indirettamente della compagine sociale”, il tutto con il consenso dei rappresentanti regionali.

Il conflitto pubblico-privato ebbe un epilogo nel 2006, quando la Regione, esce definitivamente dal Parco. “La revisione dello Statuto del 2003 – tuonò l’allora governatore, Ottaviano Del Turco – ha collocato la Regione Abruzzo in una posizione assolutamente residuale, eppure conferisce più soldi rispetto ad altri soci che a loro volta conferiscono meno soldi ma hanno un peso maggiore”.

Arrivato a un passo dalla liquidazione il Parco nel 2007 passa definitivamente in mano ai sei consorzi privati.

Nel frattempo però era scattata l’inchiesta giudiziaria della procura della Repubblica dell’Aquila che, dopo anni di indagini, arriva ad una svolta nel luglio 2011, allorché vengono indagate 39 persone a vario titolo per truffa ai danni dello Stato e falsità in scrittura privata.

Secondo gli investigatori, nell’ambito del progetto “Giovani Innovazione”, approvato dal ministero con un contributo di 1,3 milioni di euro e finalizzato all’inserimento del mondo del lavoro di 50 giovani neolaureati, sarebbero stati distratti quasi 500 mila euro, per essere dirottati nella disponibilità di alcune imprese componenti del consorzio in seno al Parco scientifico e tecnologico d’Abruzzo.

Coinvolti Benigno D’Orazio, presidente del Parco, Emidio Antonio Tenaglia, consigliere, i rappresentanti di quattro imprese, che hanno progressivamente assunto il controllo degli organi di amministrazione.

E poi vari professionisti che avevano contratti di collaborazione e consulenze nell’ambito del progetto “Giovani Innovazione”. Il processo è ancora in corso.

IL PRESENTE IN VAL PESCARA

Intanto il Parco, di cui è oggi presidente Antonio Gabriele, ha interamente spostato l’attività in Val Pescara, nei laboratori di contrada Salvaiezzi a Chieti, dove attualmente è in corso da vari anni un progetto europeo che sperimenta la produzione di idrogeno dal metano.

Le società private che aderiscono al consorzio hanno assorbito solo una parte degli ex collaboratori del Parco. Dimenticandosi della sede aquilana.

“Qui a L’Aquila – ricorda ancora Bruno Peretti – l’attività cominciò a declinare con l’uscita della Regione, e la presa in carico dei privati. I progetti di ricerca si sono fatti sempre più rari, in assenza di finanziamenti pubblici, e i dipendenti cominciarono a essere pagati con crescente ritardo”.





Ed anche tanti collaboratori e consulenti attendono da anni il compenso per il lavoro svolto.

Questo giornale ha chiesto lumi sul futuro dei dipendenti e della seda aquilana del Parco al presidente Antonio Gabriele, che così ha risposto: “Comprendo lo stato d’animo di questi lavoratori, persone a cui riconosco un alto livello di professionalità. E garantisco che stiamo cercando per loro una soluzione,vogliamo che tornino a lavorare”.

D’accordo, ma dove e come? La risposta di Gabriele si fa più articolata: “Per la ricostruzione dell’edificio di via Confalonieri abbiamo avviato contatti con la Regione Abruzzo. Per ora non ci sono le condizioni per continuare le attività in altri locali del capoluogo idonei alle nostre esigenze – annuncia – E inoltre occorre creare prima di tutto sinergie con i privati ed enti pubblici, individuare un percorso comune di ricerca e innovazione, che possa dare un senso anche imprenditoriale della nostra presenza all’Aquila”.

ANCORA UN FUTURO ALL'AQUILA?

Ma la volontà di restare, sottolinea il presidente Gabriele, è dimostrata proprio dal fatto che le attrezzature non vengono spostate da dove sono.

“Potremmo portare la macchina anecoica, o i plotter industriali qui in Val Pescara – rimarca – ma preferiamo lasciarli all’Aquila, anche perché sono collocati in una parte dell’edificio sicuro, non compromesso dal sisma, e senza infiltrazioni e umidità. Questo significa che confidiamo di trovare, mi auguro al più presto, una soluzione logistica e soprattutto le condizioni per riavviare le attività anche nel capoluogo. Stiamo aspettando che anche la politica ci metta nelle condizioni di non disperdere questo patrimonio”.

E il presidente dà una sua personale lettura dell’epilogo poco edificante del Parco scientifico e tecnologico. Secondo lui non sono stati i privati ad aver tentato di usare a loro esclusivo vantaggio e discrezione un patrimonio costruito e finanziato anche e soprattutto con i soldi dei contribuenti, di cui fanno parte anche i laboratori della Val Pescara.

Non è da ascrivere alla governance privata che di fatto segnò le sorti del Parco dal 2003 a oggi la responsabilità del declino, degli stipendi e i compensi non pagati, dei lavoratori lasciati a casa, dell’abbandono della sede aquilana, lettura suggerita in parte anche dalle carte dell’inchiesta giudiziaria.

È vero il contrario, per il presidente Gabriele: la colpa è della Regione Abruzzo.

“Continuo a credere – spiega infatti il presidente – che sia stato un gravissimo errore della Giunta Del Turco defilarsi, non credere nelle potenzialità del Parco scientifico, che anche all’Aquila rappresentava, nonostante alcune criticità, un centro di eccellenza. Nei suoi laboratori ricordo solo che è uscito il radar meteorologico con cui vengono fatte oggi le previsioni del tempo in Abruzzo”.

“Al Parco hanno tagliato le risorse per finanziare molto generosamente altri enti e agenzie regionali di supporto alle aziende, che però non fanno lavoro di laboratorio, quello che davvero serve per essere competitivi – incalza – ma offrono solo un servizio di back office, di mero un supporto burocratico”.

E Gabriele invita a guardare ai Parchi scientifici  in altre regioni italiane, adeguatamente supportati finanziariamente dagli enti locali. Quello del Piemonte, per esempio, dove è stato brevettato il tessuto non tessuto utilizzato alle Olimpiadi invernali, o del Veneto, all’avanguardia sul fronte della ricerca applicata all’automotive.

In Abruzzo invece, in quella terra di mezzo tra i rimpianti, le speranze e i rimpalli di responsabilità, resta un edificio terremotato, attrezzature inutilizzate, il vuoto lasciato da tanti ricercatori e talenti costretti a emigrare.

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