ELETTI MOROSI, FORZA ITALIA IN DISSESTO: ”MA NEANCHE PIU’ SEDI, E’ INGIUSTO PAGARE”

di Marco Signori

14 Aprile 2017 08:30

Regione - Politica

L'AQUILA – Fanno la loro parte anche i consiglieri regionali e i parlamentari abruzzesi, nel buco da oltre 2 milioni di euro complessivi nelle casse nazionali di Forza Italia.

E non sembrano bastare le “minacce” di non ricandidatura da parte dello stesso Silvio Berlusconi: a quanto pare, nessuno degli inquilini dell'Emiciclo, né dei pochi deputati e senatori azzurri eletti in Abruzzo nel 2013, versa gli 800 euro al mese che sarebbero in teoria dovuti al partito.

“Non posso parlarne, è coperto da privacy…”, risponde, ridendo, sul tema il coordinatore regionale Nazario Pagano, al quale AbruzzoWeb riesce comunque a strappare un “Sì, lo è!” alla domanda se il fenomeno dei morosi sia così dilagante.

Il tesoriere nazionale Alfredo Messina ha recapitato nei giorni scorsi a tutti gli eletti, 50 deputati, 43 senatori e 80 consiglieri regionali, una missiva in cui sollecita il saldo degli arretrati che dovevano essere versati entro il 28 febbraio scorso per il triennio 2014-2016, “pena la decadenza dagli incarichi e la non ricandidatura”.





“Siamo cinque consiglieri regionale e tre-quattro parlamentari, non c'è molto da indagare – ribatte il consigliere regionale Mauro Febbo – È un dato nazionale il fatto che non si versi. Da quanto ne so, in Abruzzo solo Fabrizio Di Stefano pagava, mentre Razzi e la Pelino no”.

La senatrice, che da fonti interne al partito attualmente deve 39 mila euro, a questo giornale afferma invece che “pago regolarmente, non ho sospesi”.

“Da quando hanno tolto il finanziamento pubblico è giusto pagare – continua – È vero, ci sono i rimborsi elettorali, ma sono dei rimborsi spese e anche per i privati che volessero finanziare un partito ci sono dei tetti di spesa”.

“Il fenomeno esiste? Probabilmente qualcuno che non paga ci sarà, ma alcuni si sono 'difesi' sostenendo di supportare il partito sul territorio, e a loro il partito ha chiesto di dimostrarlo”, continua ancora.

Tra questi ultimi c'è il consigliere Febbo, convinto che “uno paga se c'è un ritorno, sono abituato a un partito in cui c'è un minimo di attività, una volta la sede provinciale la pagava il partito, c'era del materiale a disposizione, dei manifesti, ma senza tutto questo uno deve pagare per mantenere gli impiegati di Roma?”.





Ammette, poi, di essere uno di quelli che non sta pagando la quota mensile, ma spiega di essere a credito: “Io avanzo! Perché tempo fa il contributo fu ridotto da 800 a 500 euro, ma avendo continuato a pagare 800 euro per un periodo, si è prodotto un credito a mio vantaggio che ora sto scontando”.

“Quando tempo fa mi fu chiesto perché non pagavo – ricorda – mandai l'estratto conto con cui dimostrai come stavano le cose. Perciò adesso ancora non ricomincio a pagare”.

Il partito, accusa tuttavia Febbo, “ha i soldi dei rimborsi dei gruppi, perché dobbiamo pagare noi? Sul territorio che mi dà? È giusto contribuire ma ora non c'è più neanche la sede provinciale, quindi a cosa dobbiamo contribuire?”.

“Ciascuno ha la propria sede elettorale che si trasforma in sede di partito – continua – ma la sede di partito vera e propria non c'è più. Io contribuisco anche alle campagne elettorali nei Comuni, ricoprendo una carica ti bussano a soldi ovunque, ma non può essere tutto a carico nostro, anche per questo c'è malessere”.

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