L'EX GOVERNATORE INTERVISTATO DA ABRUZZOWEB: ''NON HO RANCORI'' ''ORA VORREI ESSERE ASSOLTO IN ABRUZZO, LA TERRA CUI HO DATO TANTO''

DEL TURCO, SI APRE PROCESSO D’APPELLO ”OTTO ANNI E NEANCHE UNA PROVA”

di Marco Signori

24 Settembre 2015 08:08

Regione -

L'AQUILA – Approda domani mattina in Appello il processo Sanitopoli, che nel luglio 2008 smantellò la classe dirigente abruzzese facendo finire in carcere l'allora presidente della Regione, Ottaviano Del Turco, e alcuni suoi assessori.

“In otto anni, neanche una della valanga di prove di cui si parlò” dice in un'intervista ad AbruzzoWeb alla vigilia di quello che auspica essere l'ultimo step giudiziario.

“Vorrei essere assolto in Abruzzo”, afferma poi con evidente desiderio di scongiurare l'ulteriore ricorso in Cassazione, nel caso in cui dovesse arrivare una condanna anche nel secondo grado di giudizio.

Il primo grado si è concluso il 22 luglio 2013, con la condanna dell'ex governatore a 9 anni e 6 mesi per associazione per delinquere, corruzione, concussione, tentata concussione e falso.

Condannati anche Vincenzo Maria Angelini, il patron della sanità privata abruzzese grande accusatore di Del Turco, a cui sono stati inflitti 3 anni e mezzo, l'ex manager della Asl di Chieti Luigi Conga (9 anni), l'ex parlamentare del Pdl Sabatino Aracu (4 anni), l'ex segretario dell'ufficio di presidenza della Regione Lamberto Quarta (6 anni e sei mesi), l'ex assessore alla Sanità Bernardo Mazzocca (2 anni), l'ex assessore alle attività produttive Antonio Boschetti (4 anni), l'ex capogruppo regionale del Pd Camillo Cesarone (9 anni).

Secondo l'accusa ci sarebbe stato un giro di tangenti quantificato in 5 milioni di euro.

“Nessuna voglia di tornare in campo. Ho 71 anni e a questa età non si progettano avventure politiche” dice a questo giornale, ma tanta voglia di parlare, soprattutto dei due libri che sta scrivendo, uno sull'Europa, l'altro sull'Abruzzo.

Un po' gli apici della sua carriera, passata per il Parlamento europeo e finita alla guida della Regione, passando per la guida della commissione Antimafia e il ministero del Tesoro.

Ma la politica non c'entra: nel primo si parla di Goya, Beethoven, Louis David e Manzoni e del loro rapporto con Napoleone; nell'altro della transumanza.

Del Turco risponde dalla casa di Collelongo dove passa la gran parte del tempo. L'ex governatore è un fiume in piena. Parlerebbe di tutto, meno che della stringente attualità, anche perché dice di non aver seguito approfonditamente gli accadimenti degli ultimi tempi.

Presidente, come ha trascorso questi sette anni?

(lungo sospiro) Ho fatto cose, visto gente, come direbbe Nanni Moretti (sorride). Ho dipinto molto, scritto molto. Non ho percepito come un problema essere lontano dai riflettori, quella fase ho sempre saputo viverla come un elemento passeggero della mia esistenza. Ho vissuto questi anni con tranquillità, come un ritorno alla condizione naturale.





Mi ha turbato l'idea di essere entrato in una cosa più grande di me, le scelte fatte alla guida della Regione non sapevo che fossero tanto importanti da produrre quelle conseguenze.

Si è sentito dimenticato da qualcuno?

Non ho fatto l'elenco di chi mi chiamava tutti i giorni e poi ha smesso di farlo. Ovviamente da qualcuno mi sono sentito ferito, ma senza drammi, senza tenere un diario aggiornato delle amicizie che si sono guastate.

Come mai in otto anni tranne pochi nessuno ha provato a mettere in discussione le tesi accusatorie?

Anche se sono stati pochi, qualcuno che lo ha fatto c'è stato. Mi ha colpito molto l'Unità che ha cambiato linea, dopo che per anni era stato l'organo ufficiale di coloro che partecipavano a una vicenda tenebrosa e di governo di quella sanità. Bisognerà riparlarne quando tutto sarà più chiaro a tutti, non tanto a me che è chiara da sempre.

Perché neanche la scoperta di conti milionari offshore su cui la procura della Repubblica di Chieti pure ha indagato non ha fatto sorgere dubbi sulla credibilità del suo grande accusatore, Vincenzo Angelini?

Si tratta di una domanda alla quale non so dare una risposta, ma immagino esistesse un tratturo di questi maneggi di soldi dei proprietari di cliniche in Abruzzo. Non mi sono stupito di quella scoperta e come me, forse, neanche gli inquirenti.

Se qualcuno le chiedesse di elencare la “valanga di prove” di cui parlò il procuratore Nicola Trifuoggi il giorno del suo arresto davanti alle telecamere di tutta Italia, cosa risponderebbe?

“Montagna di prove schiacciante” fu detto! Così come si è rivelata, nessun costone di quella montagna è servita per dare agli abruzzesi una risposta, ho aspettato molto tempo, in tutte le udienze ho atteso che uscissero. Alla fine sono arrivato a pensare che la condanna fosse l'unica prova, più era grande la condanna più io ero colpevole.

E quella prova considerata regina, quelle foto scattate dall'autista di Angelini nelle quali si vede l'imprenditore con un pacco che secondo l'accusa conteneva soldi all'ingresso e mele al momento dell'uscita da casa sua?

Sono ancora strabiliato. Com'è possibile inventare un teatrino assurdo quando la cosa più facile da fare era portare dei soldi e far aspettare i carabinieri fuori casa? La cosa che ho visto fare in tanti film, letto in tanti libri…

La fine politica di Ottaviano Del Turco viene decisa a Botteghe Oscure. Fantapolitica forse, ma c'è chi lo dice da un pezzo.





Lo escludo perchè avevano altro da fare, ma non perché non abbiano influito su scelte importanti dal Dopoguerra a oggi.

Che idea si è fatta dell'impegno politico di Nicola Trifuoggi, pubblicamente al fianco di Luciano D'Alfonso in campagna elettorale e vice sindaco di Massimo Cialente?

Non voglio commentare e non voglio giudicare questi aspetti della storia, considero l'impegno politico come il livello più alto di un uomo o di una donna, quindi non posso criticare chi decide di dedicargli la parte conclusiva della sua esistenza. Mi ha colpito che l'incarico sia stato dato come se si pensasse che all'Aquila non ci fossero gli strumenti adatti a combattere la criminalità.

Non ho rancori nei confronti di nessuno, averli sarebbe significato vivere otto anni in modo drammatico, come Edmond Dantès del Conte di Montecristo, un soggetto inimitabile ma non l'ho vissuto così.

L'oggi. Chiodi, poi D'Alfonso.

Chiodi ha amministrato bene l'eredità che gli abbiamo lasciato, si è appropriato dei risultati della mia Giunta per risanare la sanità, al suo posto avrei fatto la stessa cosa anch'io.

Su D'Alfonso ho un giudizio ma sarebbe ingeneroso darlo. Devo riconquistare l'integrità morale, sono sempre un condannato, non ho tutti i diritti che sono riconosciuti a un uomo.

Lei è stato tra i fondatori del Partito democratico. Ne sono cambiate di cose da allora…

Ricordo il giorno in cui mi chiamò Prodi, era un sabato, stavo giocando a carte, la sua segretaria mi chiese se me lo poteva passare, gli chiesi se ci fosse stato qualcuno che ha mai risposto di no – probabilmente si, perché sembrò imbarazzata –  parlammo per dieci minuti, mi spiegò che se il Pd non nasceva con personalità della politica e del sindacato che avevano optato per una strategia riformista rischiava di essere una comunità di comunisti e democristiani senza la possibilità di cambiare le cose.

Lo trovai affascinante anche se avevo un'idea più modesta del mio ruolo, ma dissi di sì. Eravamo 45 fondatori, voglio pensare che ero stato l'ultimo a essere chiamato, penso però di essere stato il primo a pensare che la missione era fallita in partenza. Oggi aspetto di vedere come finisce la vicenda delle riforme, sono straconvinto che, se non si fanno, è inutile pensare che esista una nuova stagione. Adesso penso che ci siamo, è questione di pochi giorni perché finalmente si ricostruisca la certezza dei diritti per un Paese moderno.

Dal processo d'Appello cosa si aspetta?

L'aspettativa fondamentale è quella di essere assolto in Abruzzo, mi piacerebbe avere giustizia nella regione a cui ho dedicato gran parte della mia vita.

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