DA L’AQUILA A LOS ANGELES, DALL’ITALIA A GOOGLE IL ‘GENIO’ ALESSANDRO, ”VI PRESENTO LA MIA APP”

11 Gennaio 2013 09:01

L'Aquila -

L’AQUILA – Dall’Università dell’Aquila alla corte di Google, dai problemi di trasporti che c’erano e ci sono anche oggi per i fuorisede per raggiungere la facoltà di Scienze, agli splendori dell’Università di Los Angeles, che da sola investe in ricerca come l’Italia intera.

Un salto triplo, quello di Alessandro Marianantoni, reatino di origine ma che ha passato gli anni della sua formazione universitaria nel capoluogo d’Abruzzo, vivendo una realtà accademica e una città che non dimentica neanche adesso.

Laureato in Informatica da queste parti, poi è emigrato divenendo ricercatore del Center for Research in Engineering, Media and Performance della Università della California.

E in questa veste si è conquistato i favori di Big G, il più importante motore di ricerca in assoluto ma non solo, attraverso un’applicazione che fonde le più moderne tecnologie per la telefonia portatile e la Storia con la s maiuscola, quella di Roma e del Colosseo.

AbruzzoWeb lo ha intervistato, per ricordare gli anni aquilani, parlare delle abissali differenze tra i sistemi universitari italiano e a stelle e strisce e, naturalmente, per capire come funziona la sua creatura.

Puoi descrivere in concreto com’è fatta la app che ha attirato l’attenzione di Google, a che cosa serve e come funziona?

È una semplice ed efficace idea che offre un esempio di come si possa fare innovazione nel turismo, ma non solo. Con queste tecnologie innovative si cambia nei fatti la fruizione di un’opera, anche se alla base c’è sempre il potere evocativo di un monumento o delle ricchezze di un territorio. In questo caso il monumento in questione non ha bisogno di presentazioni. Il visitatore scatta una foto a un dettaglio o a tutto il monumento usando l’app di Google Goggles, ormai presente su milioni di dispositivi mobili, smartphone o tablet. Successivamente la nostra applicazione viene caricata e fa vedere uno dei video clip relativi al monumento. I video rappresentano delle scene storiche scritte e prodotte qui negli studi cinematografici di Ucla Theater, Film and Tv. Un scena è stata girata nella Rieti sotterranea, nella parte romana, perfetta location per i sotterranei del Colosseo.

Ci presenti la squadra che ha lavorato al progetto?

Ho potuto mettere insieme un team importante. Dai mentor di Hollywood Pietro Scalia, Dante Spinotti, Andrea Morricone, Marc Abraham e Betsy Heimann grazie alla Fondazione Azzurra, fino a un buon numero di professionisti anche da Rieti come Nexine che ha lavorato al design del logo e dei crediti e l’informatico Marco Sgnaolin. Il processo lavorativo è stato piuttosto innovativo. In progetti sperimentali come questo, con un budget molto limitato, ci sono tantissime difficoltà e soluzioni da inventare per produrre un risultato soddisfacente. Si deve essere flessibili, lavorare non trascurando nessun dettaglio e nello stesso tempo non perdere mai di vista il progetto nel suo insieme.





Ho iniziato a lavorare con gli scrittori Ronan MacRory e Nathan Chitayat sulle note create con il prof Massimo Ciavolella del dipartimento di Italiano di Ucla e Lee Walcott, emerito della Ahmanson Foundation. Abbiamo così creato 20 mini scene, tre più una per ogni personaggio, strutturate in modo che l’utente possa combinarle. Poi Ronan, Nathan e Charles De Leon hanno curato la regia in quattro giorni intensi di produzione. Questo è stato possibile soltanto con ragazzi e professionisti molto preparati e motivati.

Quali altri protagonisti ci sono stati?

Ho lavorato direttamente con ogni persona coinvolta nel progetto, difficile fare l’elenco di tutti, ci sono stati più di 50 collaboratori! Sono tutti menzionati nei crediti sul sito web del progetto (www.bridgingmedia.net). La post produzione è stata supervisionata da Michael McNeff che aveva già lavorato con me in un progetto che è andato sulla Rai. Durante questa fase, grazie al coinvolgimento della professoressa Diane Favro, abbiamo integrato alcuni modelli 3D nelle scene. La prof Favro da oltre dieci anni dirige presso il centro Ucla Etc una ricerca sulla ricostruzione dei monumenti nel Foro Romano.

Il progetto è stato ultimato a Rieti, durante un workshop estivo creato appositamente che ha coinvolto studenti internazionali anche provenienti da Ucla e altri partecipanti locali. Appunto tramite il supporto di un piccolissima crew con Luca Micheli, Maurizio Guadagnoli, Claudio Leggieri, Alyssa Kjar da San Francisco, Danni Zhang e Mengjaio Xi, Weihan Zhou da Ucla, Giovanna Gregori e Francesca Tiberi, con il supporto dell’assessorato alla Cultura del Comune di Rieti e Rita Giovanelli per la location.

Quali saranno i passi successivi dello sviluppo ora che è finita (e sei finito) sotto l’ala protettiva di Big G?

Per il momento mi sto godendo qualche giorno di vacanza con la mia famiglia… Ci sono ipotesi in cantiere e abbiamo ricevuto alcune proposte di collaborazione per progetti culturali, nel settore turistico dall’Italia e altre proposte da approfondire dagli Usa. Con Google, come d’altronde anche con altre aziende meno note, c’è un rapporto di collaborazione e fiducia che mi auguro possa portare a risultati ancora più interessanti nel breve termine.

Cosa ricordi del tuo periodo universitario trascorso all’Aquila? Ci sei più stato dopo il terremoto?

Mi piacevano molto l’atmosfera informale delle lezioni e la disponibilità dei docenti che erano anche giovani. A differenza dell’aria che respiravo in centro, nella facoltà di Lettere e filosofia, quando mi capitava di seguire qualche lezione con la mia ragazza di allora, oggi madre di mia figlia. Certo, non fu un periodo facile: sono stato uno dei tanti pendolari che partiva con il treno, spesso anche prestissimo, da Rieti per raggiungere prima L’Aquila e poi la facoltà di Scienze a Coppito. Torno in Italia una o due volte l’anno ma non sono ancora stato all’Aquila dopo il sisma e mi rattrista molto pensare che la città in cui ho studiato per anni oggi non esista più.

Com’è avvenuto il salto negli States?

Mi piace viaggiare e ho sempre pensato che avrei trascorso un periodo all’estero per imparare bene almeno un’altra lingua, conoscere altre culture, vedere le cose da un’altra prospettiva. Di solito il periodo di preparazione della tesi universitaria rende questa esperienza più semplice da realizzare. Anche se il mio dipartimento a Coppito non aveva una rete strutturata di collaborazioni negli Stati Uniti, almeno nei settori che mi interessavano, tramite il professore Enrico Nardelli trovammo un centro molto prestigioso che mi sponsorizzò finanziariamente e così iniziai un’avventura di sei mesi.





Quante opportunità ci sono in più o in meno? Consiglieresti ai trentenni di oggi di trasferirsi?

Da subito si respira un’aria diversa, ovviamente anche qui ci sono molti problemi, gli Stati Uniti sono un Paese con molte contraddizioni. Los Angeles, poi, richiede tempo prima di farsi conoscere, con una storia nota brevissima e uno spazio urbano spersonalizzato, senza un centro e senza una piazza. Questo posto per ognuno può rappresentare qualcosa di diverso. Per un europeo, un italiano in particolare credo sia un’esperienza da fare. Trasferirsi non è la soluzione migliore, suggerisco però ai giovani studenti e non di fare un’esperienza all’estero. Proprio nelle prossime settimane attiveremo un programma di ricerca che coinvolgerà 25 giovani italiani per una breve esperienza a Ucla. L’esperienza funziona in entrambe le direzioni, tanto che l’estate riesco a portare studenti internazionali in Italia.

C’è sempre un abisso tra la realtà universitaria italiana e quella statunitense?

Solo nel campus di Ucla si investe in ricerca più di quanto si investa in tutta Italia. In generale, se e’ vero che da un lato negli States ci sono enti governativi e privati che hanno la capacità di finanziare la ricerca con molti fondi, dall’altro è anche vero che la competizione è molto agguerrita. So di ragazzi che sono tornati in Italia, ma dopo pochi mesi li ritrovo di nuovo tutti qui. La verità è che il sistema universitario italiano rispecchia appieno una situazione di tracollo più generale. Salvo qualche collaborazione non ho mai lavorato in una università italiana. Inoltre sono un ricercatore atipico, metto insieme campi ancora molto distanti, almeno nell’accademia: dal cinema all’interazione nello spazio fisico, dallo sviluppo di installazioni alla ricerca su un nuovo protocollo Internet. Non credo sia facile per me pensare a un rientro nell’università in Italia.

Facendo gli scongiuri, anche La è zona sismica. Come vivono i losangelini il loro rapporto con il terremoto? La prevenzione è nella cultura delle persone? E degli enti?

Vivo con la mia famiglia in un grattacielo di 25 piani e mi sento molto più al sicuro qui che in Italia. Qui le scosse sono piuttosto frequenti e non dimentichi mai di essere in una zona sismica. Annualmente nelle scuole, e anche nel nostro campus, si deve partecipare a esercitazioni e si stabiliscono ruoli che poi in caso di emergenza torneranno utili. I cittadini di La sono molto sensibili a questo tema, in molti hanno un kit di sopravvivenza in caso di bisogno. Molti miei amici ricordano chiaramente il terremoto del 1994 e a Downtown Los Angeles ci sono grattacieli dei primi anni del 1900 e sono ancora li nonostante i terremoti.

La tua visione da molto lontano delle vicende italiane qual è?

Mi tengo aggiornato tramite i quotidiani online, inoltre tornando regolarmente ogni anno, vedo chiaramente i cambiamenti. Negli ultimi dieci anni la nostra politica ha decisamente perso credibilità, non c’e’ un dibattito, sembra che si riesca a ottenere consenso soltanto con l’esposizione sui media e con gli slogan ed è ormai consolidata percezione che si entri in politica soltanto per acquisire potere e pensare ai propri interessi.  Sono certo che ci sono casi che non rientrano in questa descrizione, ma… vanno cercati.

E della ricostruzione ti interessi? Come vedi il quadro?

Seguo come posso, anche notizie dirette da amici e conoscenti. Per esempio c’è una coppia che è venuta ad abitare a Rieti, nostri vicini, so che ultimamente ci sono state evoluzioni e che forse la loro casa in centro si appresta a essere pronta, ma non so se torneranno all’Aquila. Alberto Orsini

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