CONTRATTI DI FIUME: IN ABRUZZO SONO 17, MA ANCORA NESSUN INTERVENTO CONCRETO

di Filippo Tronca

3 Ottobre 2017 06:45

Regione - Politica

PESCARA – Tanta acqua è passata lungo i corsi d'acqua abruzzesi, ma sono in forte ritardo, almeno se si guarda a quello che accade in altre regioni, gli iter dei Contratti di fiume, una procedura negoziata su base volontaria che prevede un’aggregazione fra Comuni di uno stesso bacino, che deve culminare in interventi concreti di rinaturalizzazione e riqualificazione dei fiumi inquinati e degradati, finanziabili con fondi europei e statali.

Sotto accusa, da parte delle associazioni ambientaliste, in testa Ambiente e/è Vita e Wwf, “l’inerzia” della Regione Abruzzo, che non ha istituito tutti gli organismi di coordinamento necessari, come l’Osservatorio e l’Assemblea regionale dei contratti di fiume, pur previsti da una delibera approvata nel novembre 2015, e ha istituito solo a giugno di quest'anno la Cabina di regia regionale, che solo ora sta entrando a regime.

E soprattutto non ha finanziato, a differenza di quello che avviene in altre Regioni, la fase iniziale di questi processi, quello della “diagnostica partecipata”, su cui si deve basare poi il Piano d’intervento.

Il risultato è che, dei 17 contratti di fiume in essere, nessuno è arrivato ancora a predisporre il Piano strategico degli interventi necessari, concordati e programmati.

Eppure non ci sarebbe un attimo da perdere: in base ai dati aggiornati al 2015 dell’Agenzia regionale per la tutela ambientale (Arta), diffusi a maggio scorso dall’associazione ambientalista H20, il 71 per cento dei fiumi e il 52 per cento dei corpi idrici sotterranei si discosta dallo standard richiesto dall’Europa, che con la direttiva Acque ha imposto anche agli stati membri l’adozione di iniziative utili quali, per esempio, lo strumento dei Contratti di fiume che, fra l’altro, è entrato a pieno diritto fra le azioni previste dal Testo unico ambientale, ovvero il decreto legislativo 152 del 2006.

I corsi d’acqua messi peggio in assoluto, classificati come “scadenti”, sono in Abruzzo il Calvano e il Mavone in provincia di Teramo, il Feltrino e il Cena in provincia di Chieti, l’Imele in Provincia dell’Aquila.

Uno dei solenni impegni del presidente Luciano D’Alfonso era stato quello “di riconciliare l'acqua salata del mare, con l'acqua dolce dei fiumi”, ovvero di disinquinare buona parte dei corsi d’acqua abruzzesi, e di conseguenza importanti tratti della costa, in uno stato spesso pietoso, anche per responsabilità del disinteresse e assenza di misure concrete e tangibili, da parte delle amministrazioni regionali precedenti, compresa quella del centrodestra di Gianni Chiodi.

Certo, negli ultimi anni si sono moltiplicati i finanziamenti per realizzare nuovi depuratori e potenziare quelli esistenti.





Ma sul fronte dei Contratti di fiume si batte la fiacca, venendo meno, come accusano le associazioni ambientaliste, il ruolo di regia e coordinamento della Regione, che pure ha istituito una delega assegnata affidata all’assessore all’Agricoltura Dino Pepe, che lasciava ben sperare.

LA SITUAZIONE

Attualmente i contratti di fiume in itinere sono quelli del Medio Sangro, Torrenti Cerrano-Calvano, Liri, Piomba, Tordino, Tavo-Fino-Saline, Trigno, Arielli, Aterno, Alento, Pescara, Feltrino, Sagittario Bassa Piana, Sagittario Alta Valle, Imele, Giovenco e Vallone Santa Lucia”.

Qualche settimana fa, il Comune dell’Aquila è antrato a far parte del Coordinamento delle cabine di egia, completando l’organico di cui fanno già parte le province di Chieti, L’Aquila, Pescara e Teramo, i comuni di Morino, Città Sant’Angelo, Bellante, Collecorvino, San Salvo, Ortona a Mare, L’Aquila, Bucchianico, Pescara, Lanciano, Corfinio, Villalago, Tagliacozzo, Pescina e l’area marina protetta di Torre Cerrano.

“ll Coordinamento – ha spiegato l’assessore Pepe – sarà oggetto di aggiornamento periodico, ogni 120 giorni, per consentirne l’implementazione con i rappresentanti dei Comuni capofila dei nuovi Contratti di Fiume che si dovranno ancora costituire”.

Un Contratto di fiume funziona a larghe linee così: i sindaci dei Comuni promotori sottoscrivono un protocollo d’intesa, poi c’è la fase della “diagnostica partecipata”, ovvero di un approfondito studio tecnico-scientifico, sulle condizioni del corso d’acqua interessato, per individuarne le criticità, il livello d’inquinamento, e sopratutto da cosa è causato.

Contestualmente vengono avviate le consultazioni presso la popolazione, come previsto da direttive europee, spesso disattese, che sentenziano la necessità di una “gestione pattizia di beni collettivi” e la partecipazione dei cittadini, sia all’informazione, sia alla condivisone di processi in materia ambientale.

C’è, poi, la fase della redazione del Piano strategico, con tutte le azioni previste e i relativi costi per naturalizzare e riqualificare il fiume. Per esempio si può prevedere la realizzazione e manutenzione di un certo numero di depuratori, la rinaturalizzazione dell’alveo eliminando gli argini di cemento, interventi di eliminazione e costante monitoraggio degli scarichi abusivi, interventi di ingegneria naturalistica volti a minimizzare il rischio di esondazione ed erosione.

Solo in seconda battuta si possono prevedere anche interventi di “pubblica utilità, rendimento economico, e misure che favoriscono lo sviluppo locale”, come ad esempio un centro educazione ambientale, una rete sentieristica e piste ciclabili, o anche azioni di promozione turistica.

Il Piano deve superare il vaglio degli organismi di livello regionale, che però come detto ancora non sono stati istituiti. Deve essere in linea con gli standard qualitativi previsti dal Ministero e dall’Ispra.





Il Piano diventa infine un Accordo di programma quadro pluriennale, dove tutti gli interventi possono essere agevolmente finanziati dai fondi europei del Piano di Sviluppo Rurale (Psr), dello Piano di sviluppo regionale (Fesr), dai bandi europei Horizon 2020, del POR e Life 2014. Ed anche con fondi nazionali appostati nella legge di stabilità.

L'IMPASSE

La cruda realtà, come scritto, è che a oggi, a quasi 2 anni dall'avvio ufficiale del processo, nessun Contratto di Fiume abruzzese è arrivato alla fase di licenziare il Piano strategico.

Compreso il contratto di Fiume Feltrino, con capofila il Comune di Lanciano, affidato al Centro di documentazione sui conflitti ambientali (Cdca) di Roma, che pure si è meritato qualche tempo fa la menzione di “buona pratica” da parte del ministero dell’Ambiente, per l’eccellente lavoro di “coordinamento intersettoriale, con lo scopo di creare sinergie tra diversi attori per favorire la realizzazione di progetti collettivi, la cooperazione intersettoriale e lo scambio di informazioni e conoscenze”.

“Colpa dell’inerzia della Regione Abruzzo, che non ha messo un euro per le fasi propedeutiche, che sono svolte a titolo gratuito da volontari”, accusa Patrizio Schiazza, dell’associazione Ambiente e/è vita, che in convenzione, a titolo gratuito, con i Comuni interessati si occupa dei tre contratti di fiume Giovenco, Imele e Sagittario, in Provincia dell’Aquila, di quelli del fiume Sangro in provincia di Chieti, di quello dei fiumi Tavo-Fino-Saline in provincia di Pescara. E che soprattutto è membro del Tavolo nazionale dei contratti di Fiume.

“In particolare il Contratto di fiume Sagittario – protesta Schiazza – è stato il primo contratto avviato in Abruzzo ed risulta essere quello allo stato più avanzato. La diagnostica partecipativa è quasi conclusa, le schede di valutazione compilate, i portatori di interesse sollecitati ed incontrati ed il Piano strategico, redatto a titolo volontario, è quasi concluso. Ed inoltre abbiamo inserito anche una serie di indicatori di qualità per valutare le azioni rispetto alla funzionalità del processo della spesa e del risultato atteso”.

“Eppure Comuni e la Provincia dell’Aquila hanno più volte chiesto, con lettere, comunicazioni e solleciti di un incontro, che fine avesse fatto il contributo di 100 mila euro, ricadente nell’ambito dell’Agenda 21, ed in disponibilità della Provincia dell’Aquila, che parrebbe essere stato revocato dalla Regione, che ha comunque ben pensato di non rispondere mai”, rimarca.

Altrove non funziona così, incalza Schiazza: “Dei 276 contratti di fiume attivi in Italia, quelli delle regioni del Nord sono in molti casi già in fase di attuazione, si stanno già realizzando le opere previste nei piani strategici”.

“La Regione Abruzzo invece è stata, di fatto, assente – incalza Schiazza – Non ha svolto il ruolo di regia, sembra non credere a questo strumento, demandando tutto ai sindaci, lasciati soli e senza risorse. Con il risultato che rappresentano ancora un’emergenza diffusa la qualità delle acque, il dissesto idrogeologico e il rischio di esondazione”.

“Per fortuna esistono ancora amministrazioni volenterose ed associazioni che lavorano, non smettendo di crederci. A tale proposito, e per avere un quadro definitivo di riferimento, abbiamo come Ambiente e/è Vita Abruzzo chiesto due audizioni una in terza Commissione permanente ed una in Conferenza dei capigruppo del Consiglio Regionale alle quali attendiamo risposta”, conclude.

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