CINECRITICA: ”IMMATURI”, SOLITI NOMI, SOLITA NOSTALGIA, SOLITO FILM

di Luca Fabbri

1 Febbraio 2011 12:00

Regione -

Non c’è niente da fare, certi film andrebbero evitati come la peste. Basterebbe guardare i nomi nella locandina di Immaturi per farsi di nebbia davanti alla cassa, sembra una raccolta firme di Repubblica, sempre le stesse facce.

Di là, i vari Michele Santoro, Andrea Camilleri, Marco Travaglio, Roberto Saviano, Dario Fo, Franca Rame, Paolo Flores D’Arcais. Di qua, Raoul Bova, Ambra Angiolini, Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Barbora Bobulova e compagnia bella. Mancano giusto Riccardo Scamarcio e Luciana Littizzetto e il patatrac è fatto.

Chi va al cinema a vedere questo Immaturi si metta pure il cuore in pace, perché per quasi due ore vedrà cazzeggiare la solita pletora di mezze cartucce, di attori che non sono attori, di buone braccia sottratte all’agricoltura, arruolate con cadenza semestrale per mettere in scena l’ennesima commediola senz’arte né parte, uguale a tutti i vari Manuali d’Amore, Commediesexi e Notti Prima Degli Esami, che al botteghino poi fanno sempre centro, chissà perché.

Però, santo cielo, mai un attore di caratura mondiale, mai un Matt Damon, una Penelope Cruz, un Jude Law o un Javier Bardem, sembra che dall’Italia possa venir fuori solo Claudio Bisio. Poi per forza che da anni gli Oscar li vediamo col binocolo. Grazie tante.





Si dirà: ma uno al cinema ci va per farsi quattro risate in leggerezza. Vero, ma qui i momenti di autentica ironia sono numerosi quanto gli elettori di Francesco Rutelli, mentre la trama – che pure è retta da una buona idea di partenza – finisce per naufragare nella consueta melassa buonista tipica di questi film, fatti di compagnie di unici e inseparabili superamici, scazzi reciproci che finiscono a tarallucci e vino, quotidianità ostentate, sorrisoni grandi così, bambini saccenti ma simpatici, musichette di sottofondo vivaci ma non troppo, perfette come colonna sonora per qualche pubblicità del Mulino Bianco.

Tutto ha inizio quando a sei ex compagni di liceo arriva una lettera dal ministero, in cui si dice che per qualche oscura ragione dovranno rifare l’esame di maturità.

Qualsiasi persona dotata di un minimo sindacale di senno si presenterebbe dopo due minuti dalla Gelmini per farle un mazzo così, loro invece no, cacciano giusto un urletto, ma poi alla fine hanno troppa voglia di rituffarsi nella loro giovinezza e quindi si rimettono a studiare.

Tutti insieme, come ai vecchi tempi, stessa storia, stesso posto, stesso bar. Sarà un momento per riscoprirsi e crescere ancora, a trent’anni e passa suonati. Bamboccioni a chi?





Chi non si addormenta prima, riuscirà ad arrivare al giorno dell’esame. Tutti gli altri non avranno perso niente, tanto figurarsi se il signor Paolo Genovese – la mente dietro alla Banda dei Babbi Natale – poteva rendere vagamente imprevedibile un finale già scritto dopo due scene.

Al regista però va riconosciuto il merito di aver messo in scena uno dei tratti distintivi della nostra epoca, la voglia di nostalgia a tutti i costi, che ha misteriosamente assalito non i vecchi ma le nuove generazioni.

Pochi verbi coniugati al futuro e tanto bisogno di ricordare qualsiasi scemenza, di rivivere episodi successi l’altro ieri. Ma a ottant’anni come faremo?

Voto: 2

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