SALTA LA DATA PREVISTA DEL 5 OTTOBRE COME ANTICIPATO DA ABRUZZOWEB

C’E’ LA GUERRA NEL PD DIETRO IL RITARDO PER IL CONGRESSO E IL NUOVO SEGRETARIO

di Filippo Tronca

29 Agosto 2014 18:01

Regione - Politica

PESCARA – Si spacca il Partito democratico abruzzese e salta il congresso regionale del 5 ottobre prossimo.

I retroscena tra posizioni di facciata, veti, personalismi e anche, per non farsi mancare niente, una ‘guerra’ con Roma che ha deciso di dare un’occhiata all’Abruzzo e, quindi, di partecipare alle scelte.

In questo quadro spicca il silenzio assordante del segretario uscente, Silvio Paolucci, uomo pesante della rinnovata Giunta regionale con le deleghe a Sanità, Bilancio e Personale, completamente assorbito dal nuovo ruolo e in questi giorni assente per ferie.

Il presidentissimo, Luciano D’Alfonso, comunque segue con forte interesse la vicenda perché, semplicemente, vuole imporre linea e uomini.

E allora è lecito avere il sospetto, fondato, che ci sia chi gioca a condizionare a suo favore i tempi e i modi di svolgimento del congresso regionale del Pd ai primi di ottobre.

Dubbi e preoccupazioni per una pericolosa impasse cominciano a serpeggiare all’interno del partito, confermati da vari indizi che non fanno una certezza, ma consentono comunque di delineare narrazioni degli eventi alternative rispetto alla vulgata ufficiale.

Secondo quest’ultima, infatti, come già scritto da AbruzzoWeb, il congresso difficilmente potrà svolgersi il 5 ottobre perché mancano oramai i tempi tecnici per approvare regolamento, visto che la direzione regionale non è stata ancora convocata, e poi stabilire le regole, procedere ai tesseramenti, svolgere le primarie aperte, far eleggere dagli iscritti il nuovo leader.





Il tutto per motivi definiti contingenti, ovvero le fatiche dei primi 100 giorni di legislatura e poi le meritato riposo estivo.

Il motivo del rinvio, alla luce di una diversa lettura, non sarebbe invece dovuto al tempo tiranno, ma al conflitto latente tra le varie anime del Pd abruzzese, che solo in superficie è oramai tutto “renziano” o al massimo “diversamente renziano”.

A questo si aggiungono le diverse sensibilità tra il livello regionale del partito e quello nazionale.

In particolare, il governatore D’Alfonso non troverebbe tra gli attuali candidati a segretario regionale, già intervistati da questo giornale, la figura a lui più congeniale, ovvero un fedelissimo espressione della corrente preferita dal presidente, quella dei “dalfonsiani senza se e senza ma”.

Una candidatura che non sia imposta dalla direzione nazionale, ovvero dai “renziani di ferro”, con cui, come noto, D’Alfonso non ha un rapporto idilliaco.

In campo, a oggi, c’è un trittico di nomi forti. Marco Rapino, vice segretario regionale vicario e segretario regionale dei Giovani democratici, Alessandro Marzoli, vice presidente del Consiglio comunale di Chieti, Alexandra Coppola, pure lei vice regionale, componente della direzione nazionale del Pd, assistente parlamentare dell’onorevole Yoram Gutgeld, ‘guru’ economico di Matteo Renzi.

Va ricordato che Renzi ha accettato non senza perplessità la candidatura di D’Alfonso alle primarie per la presidenza della Regione, a tutt’oggi ancora a rischio di incappare in una condanna in Appello in uno dei processi in cui è stato coinvolto, come pure alla vigilia della campagna elettorale delle elezioni, quando si è rilanciato in politica grazie all’assoluzione in primo grado nell’inchiesta Caligola.





Renzi avrebbe provato a far fuori D’Alfonso sia prima che dopo le primarie. L’ex sindaco di Pescara ha risposto ‘imponendo’ di fatto la sua candidatura e mettendo l’ex sindaco di Firenze davanti a un aut aut: o mi candido con il Pd, oppure con una lista civica, forte del 76 per cento ottenuto alle primarie proveniente non solo dal mondo dei democratici ma anche dal civismo.

Classica offerta che non si poteva rifiutare, se non a costo di dimezzare i consensi del Pd e di rischiare di perdere le elezioni, seppure contro un Gianni Chiodi azzoppato dallo scandalo di Rimborsopoli.

Allineato con il presidente il super assessore e segretario regionale in carica Paolucci. Il terzo uomo della sacra trimurti del Pd abruzzese, il sottosegretario Giovanni Legnini, ha invece un piede in Abruzzo e uno a Roma, e svolge nella partita il ruolo più defilato, di mediatore, cercando di individuare il classico nome che accontenti tutti.

Da qui la necessità, strategica, di rimandare il congresso per avere più tempo per individuare e dare forza alla candidatura “Luciano-friendly”.

Nello stesso tempo la forte tentazione di forzare tempi e le regole del congresso, per blindare la candidatura di cui sopra, al fine di sbaragliare in partenza le candidature alternative, grazie alla potenza di fuoco della rete di relazioni interne ed esterne al partito, e soffocare il dibattito e la vecchia dialettica delle mozioni.

Più o meno quello che è accaduto, maligna qualcuno, alle primarie per la scelta del candidato presidente del marzo 2014, dove Big Luciano ha trionfato con il 76,2 per cento dei consensi, con una parte di merito, strizzando un occhio anche al civismo e non solo al Pd, ma anche perché non c’è stato spazio, all’interno dello stesso partito, per alternative forti.

La “Regione facile e veloce” può diventare, alla bisogna, anche un po’ più contorta e lenta.

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