CACCIA AL CINGHIALE ANCHE SU COSTA E COLLINE, E’ SCONTRO SU CHI FA I PIANI

di Filippo Tronca

31 Dicembre 2016 09:45

Regione - Cronaca

L'AQUILA – Impallinata per ora in Commissione Agricoltura della Regione Abruzzo, e rimandata all'anno nuovo la discussione della legge regionale, o meglio i due progetti da integrare, che intendono estendere l’attività venatoria dei cinghiali anche nelle aree “non vocate”. Ovvero anche nelle colline e nelle aree costiere. Un provvedimento chiesto a gran voce dagli agricoltori, e con particolare forza da una settantina di sindaci del Chietino preoccupati dai voraci branchi di ungulati che oramai sono arrivati, immortalati da foto che hanno fatto il giro del web, anche in riva al mare, e che devastano le coltivazioni fino a pochi anni fa risparmiate dalle loro scorribande.

I due provvedimenti, uno della maggioranza, l’altro dell’opposizione di centrodestra, sono tutto sommato simili, a parte i dettagli, ma si differenziano in un aspetto fondamentale.

I piani di abbattimento, dice il testo della maggioranza, firmato da 13 consiglieri e dall’assessore all’Agricoltura Dino Pepe lo deve fare la Regione, che ha assunto tale compito dalle Province in via di ridimensionamento di deleghe e personale.

Il testo del centrodestra, che porta la firma di Lorenzo Sospiri capogruppo di Forza Italia, prevede invece che i piani di abbattimento debbano essere affidati ai 12 Ambiti territoriali di caccia, organismi associativix composti dagli stessi cacciatori dei rispettivi territori che si occupano di gestione della fauna selvatica, di programmazione dell’attività venatoria.





Tutti d'accordo nel'estendere il prima possibile la caccia al cinghiale anche dove prima non si poteva, vista l'emergenza rappresentata dal soprannumero. Nelle due diverse posizioni, trasversali agli schieramenti, riemerge un impostazione federalista e una centralista, che si è data battaglia in tante altre partite politiche in Italia e anche in Abruzzo.

“Quella dell’assessore Pepe – spiega infatti Sospiri – è una legge accentratrice, ma è un grave errore, perché ogni territorio ha le sue specificità. La usa logica è quella del ‘qui comando io’, mentre noi diciamo che ognuno deve essere padrone a casa propria. Chi meglio infatti degli Atc composto da persone che vivono nel territorio, può decidere come organizzare una battuta di caccia, stabilendo dove e quando?”.

Di diverso avviso l’assessore Pepe.

“È la normativa nazionale a dire che deve essere la Regione ad assumere il ruolo programmatorio, mentre gli Atc quello esecutivo. Del resto non sembra una buona idea affidare i piani agli Atc, perché ne verrebbero fuori numerosi piani uno diverso dall’altro, anche in territori del tutto simili. Piani che poi dovranno essere esaminati e approvati dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale”.





Sulla stessa linea l’Arcicaccia, che teme aggravi di costo per i già vessati cacciatori.

“Affidando i piani agli Atc – spiega Massimiliano Di Luca, presidente regionale Arcicaccia – aumenteranno le loro spese, per pagare tecnici e consulenti, e alla fine queste spese ricadranno sui cacciatori i quali sarebbero tenuti a pagare una somma, di circa 800 euro per ciascuna squadra e 40 euro per ogni cacciatore singolo”.

Argomentazione respinta da Mauro Febbo di Forza Italia, ex assessore regionale all'Agricoltura.

“È un falso problema – assicura – gli Atc sono già dotati di tecnici, e consulenti pagati quattro soldi, e che spesso sono cacciatori anche loro e lo fanno per spirito di volontariato. Se ci saranno aumenti delle quote saranno minimali, ma i vantaggi saranno ben maggiori anche per il comparto agricolo, proprio per la vicinanza degli Atc al territorio, e la maggiore conoscenza di esso”.

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