C.A.S.E. TOUR/ROIO 2, DOPO DUE ANNI GIA’ LE CREPE

17 Ottobre 2011 08:07

Regione -

A due anni e mezzo dal terremoto, il progetto C.a.s.e. è una realtà urbana e sociale giocoforza accettata dagli aquilani, che si sono abituati a queste palazzine antisismiche dai colori sgargianti.

Nelle 19 aree sono stati realizzati 185 edifici, per un totale di circa 4.500 appartamenti che a oggi ospitano poco più di 13 mila persone.

Alcuni abitano alloggi vicini alle loro case di un tempo, quelle che hanno perso, altri hanno cambiato completamente zona della città o addirittura paese.

Disagi e comfort si dividono quasi equamente, mentre le famiglie del capoluogo cercano di abituarsi a passare la vita in queste abitazioni.

Come si abita oggi nel progetto C.a.s.e.? Per avere il quadro della situazione e vagliare sentiti dire positivi e negativi, AbruzzoWeb ha lanciato una rubrica che periodicamente porta i lettori dentro le piastre e gli alloggi.

Tra problemi, speranze, disagi e comodità. Buona lettura.

C.A.S.E. ROIO 2 – LA SCHEDA
Palazzine:  6
Appartamenti:  150
Persone a oggi:  396
Cosa va: Cosa non va:
1. Pannelli fotovoltaici 1. Crepe all’intonaco dei muri
2. Edicola e farmacia vicine 2. Impianti bagno mal realizzati
3. Pulmini ogni mezzora 3. Mancanza di strade veloci

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di Silvia Santucci





L’AQUILA – Davanti allo spettacolare scenario della montagne aquilane sorge il progetto C.a.s.e. di Roio 2: poche palazzine adagiate in maniere ordinata su un pendio; a prima vista, si notano i panelli termici posti sui balconi e il verde ordinato intorno alle case.

Sembra che tutto sia perfetto in quella piccola realtà ma, come spiegano i cittadini ad AbruzzoWeb, “non è tutto oro quello che luccica”.

Dopo “le case di cartone” di Roio 1, infatti, ci spostiamo nelle “case degli indiani”, come le apostrofa scherzosamente l’ex funzionario comunale e segretario del Pdci che ci abita, Angelo Ludovici.

“Le chiamo così – spiega – perché qui si vive un po’ come vivevano gli indiani, abbiamo un tetto sulla testa ma per il resto non c’è niente, per qualsiasi cosa, a parte la farmacia e l’edicola che fortunatamente ci sono, si deve scendere in città”.

Passare da abitare un centro storico o un popoloso quartiere animato a vivere nel bel mezzo della campagna, certo, non deve essere piacevole ma, dalle risposte degli intervistati, sembra che ciò che faccia più male è la distanza dal posto in cui si è sempre vissuti e il passare del tempo senza che cambi nulla; e allora viene da chiedersi se queste case siano state davvero la soluzione giusta per tutti.

“Secondo me – risponde Ludovici – si poteva lavorare subito nella periferia, il centro storico magari è un discorso diverso, ma tutti quei soldi che sono stati investiti in queste palazzine potevano essere utilizzati a questo fine e intanto circa 20 mila persone sarebbero potute tornare nelle loro case”.

“Hanno distrutto un territorio – accusa –  e non hanno saputo costruire qualcosa che c’entrasse con il paesaggio circostante, soprattutto vicino ai piccoli centri urbani”.

Ludovici a casa sua mostra una crepa che si estende vistosamente tra il muro e il soffitto, proprio sopra la porta d’ingresso e spiega che si allarga sempre di più e che “tutto questo accade dopo un anno e mezzo”.

In bagno, dove la pedana della doccia è insolitamente alta, si chiede come possa fare una persona anziana a usare una doccia realizzata in quel modo.





Dello stesso umore il signor Andrea Salvatore, che dice: “La cosa che pesa di più è l’isolamento, certo, rispetto ad altri progetti C.a.s.e. qui non si sta male ma sarebbe auspicabile un rapido ritorno alle nostre abitazioni anche perché io abitavo in una casa di cemento armato fuori dal centro storico e quindi, sinceramente, non credevo che sarebbe passato tutto questo tempo.”

“Come sistemazione provvisoria va bene – precisa – anche se gli spazi sono un po’ ristretti. Le dimensioni di questi appartamenti, infatti, sono tutte più o meno uguali per cui è come se si dovesse dividere la stessa metratura tra numeri diversi di membri delle famiglie: alcuni non hanno molto spazio e i figli devono dormire nei divani-letto in cucina”.

Storia diversa quella del signor Renato Centofanti che vive a Roio 2 da un mese e che ha dovuto attendere per due anni che l’appartamento si liberasse e che fosse sistemato, prima di poterci mettere piede.

“Prima sono stato in albergo – racconta – neanche lì sono stato male e devo dire che l’assistenza è buona ma dopo un po’ vivere sempre dentro una stanza diventa pesante, invece qui almeno abbiamo i nostri spazi”.

“Per ora sono contento – ammette – non so se in futuro noterò qualche problema. L’unica cosa di cui mi sono meravigliato è che manca un market dove ci sia tutto ed è una cosa strana, visto che qui intorno ci sono molte persone che ne approfitterebbero; anche questo, però, non mi secca più di tanto”.

“Devo dire che si sta bene – ammette anche Maria Cesira Catignano – le case sono belle e c’è giusto qualche faccenda da sistemare, come la pubblicità cartacea che si accumula e, trasportata dal vento fino ai giardini, crea sporcizia ma queste sono davvero cose minime”.

“Più importante, invece – prosegue – è la mancanza di infrastrutture e di un buon collegamento stradale. Ora che la strada che passa accanto alle 99 Cannelle è diventata a senso unico, infatti, per scendere in città si impiega poco tempo, ma per salire bisogna fare un giro molto lungo e per chi, come mio marito, è costretto per lavoro a uscire spesso di casa, diventa un problema”.

“Io prima abitavo in centro e la macchina non la prendevo praticamente mai – ricorda – Non possiamo lamentarci anche perché ci sono dei pulmini che passano ogni mezz’ora e si fermano proprio qui al progetto C.a.s.e.”.

Arrivano, in conclusione, voci diverse da Roio 2 ma per tutte vale la frase di Ludovici: “Semplicemente non è casa tua”.

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