AVEZZANO: GIUDICE DEL LAVORO ”SFIDA” IL JOBS ACT E REINTEGRA DIRETTORE DI POSTE DEMANSIONATO

24 Giugno 2016 16:13

L'Aquila - Cronaca

AVEZZANO – Il giudice del lavoro di Avezzano (L’Aquila) sfida il “Jobs Act” e reintegra al suo posto un direttore di Poste italiane ingiustamente demansionato sulla scorta della nuova normativa.

Potrebbe avere un effetto dirompente anche a livello nazionale, la pronuncia del giudice Giuseppe Giordano, che ha dato ragione alla causa promossa dall’avvocato avezzanese Mario Limone per conto dell’uomo, già reintegrato da Poste che ora, però, potrebbe fare un nuovo ricorso contro questa decisione.

A seguito di un trasferimento disposto dall’azienda, il direttore di livello A1 dell’ufficio è stato destinato a un incarico più piccolo e di minore importanza per qualità e volume dell’attività svolta, comportante, tra l’altro, anche una significativa riduzione di stipendio, come spiegato dal legale in una nota.





Il Jobs Act del governo Renzi ha infatti introdotto un nuovo approccio con la decisione di abbandonare il concetto di “equivalenza”, al quale la vecchia disciplina riconduceva la legittimità dell’assegnazione del lavoratore a nuove mansioni, a favore di quello più semplice di “inquadramento contrattuale”.

In base al nuovo principio, al momento di destinare un dipendente a nuove mansioni, il datore di lavoro non è più obbligato a tener conto, nello stesso tempo, sia del dato formale, cioè lo stesso inquadramento professionale, sia del dato concreto, cioè che le nuove mansioni siano confacenti alla competenza professionale specifica acquisita dal dipendente.

L’obbligo è solo tenere conto che le nuove mansioni, anche se obiettivamente inferiori alle precedenti, siano comunque riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

Nel ricorso dell’avvocato Limone, il direttore si è lamentato di avere subito un ingiusto “demansionamento”, con un conseguente depauperamento del bagaglio professionale acquisito nei molti anni di servizio, oltre che la lesione della propria immagine e dignità lavorativa.





Con una pronuncia che il legale definisce “coraggiosa e rivoluzionaria”, e che appare in netta controtendenza rispetto alla riforma, accogliendo integralmente le ragioni della difesa del ricorrente, il giudice Giordano ha dichiarato l’inefficacia del trasferimento del dipendente al nuovo ufficio e ne ha disposto l’immediata riammissione a quello di provenienza, con le mansioni svolte in passato.

Facendo sue le argomentazioni spiegate dall’avvocato Limone e riportando in auge il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte di Cassazione in una sentenza recente, sebbene precedente alla riforma del lavoro (Cass. n. 17624/2014), il magistrato ha affermato che “il divieto per il datore di lavoro di variazione ‘in pejus’ ex art. 2103 del Codice civile opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e nuove mansioni, siano assegnate, di fatto, mansioni sostanzialmente inferiori, dovendo il Giudice accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, senza fermarsi al mero formale inquadramento dello stesso…”.

Nel caso di specie, continua il giudice, “…il fatto che il provvedimento impugnato sia stato adottato nell’ambito di una consolidata prassi aziendale di avvicendamento dei quadri (cosiddetta ‘Job rotation’), come sostenuto dalla difesa dell’azienda, non esclude il demansionamento denunciato. (…) Oltretutto, se lo scopo della ‘Job rotation’ è quello di arricchire la professionalità dei quadri attraverso la diversificazione delle esperienze, non si vede come tale risultato possa essere conseguito attraverso l’assegnazione a un ufficio ridotto per dimensioni e per volume di affari rispetto a quello di provenienza, in assenza di valutazioni di professionalità negative o di obiettive esigenze organizzative che possano aver giustificato la mancata assegnazione a un ufficio di complessità almeno pari a quella del precedente. Per tali motivi, il ricorso è da ritenersi fondato”.

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