ARRIVA LO ”TSUNAMI” DEL DECRETO SANITA’ OSPEDALI, CLINICHE E SPECIALITA’ A RISCHIO

di Filippo Tronca

9 Giugno 2015 08:27

Regione -

L'AQUILA – Altro che la chiusura di quattro punti nascita e delle guardie mediche di montagna, o gli scontri politici che covano sotto la cenere intorno al numero e ai confini delle future Asl!

La vera, devastante rivoluzione della sanità abruzzese sarà imposta entro il 2016 dal decreto 70 del ministero della Salute, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 giugno scorso, dopo una lunga gestazione partita nel 2012 con la spending review del governo di Mario Monti.

Uno tsunami che, dietro i freddi numeri delle tabelle allegate, imporrà chiusure o pesanti ridimensionamenti di interi ospedali pubblici e privati, la cancellazione di specialità, per le quali sarà necessario superare precisi bacini di utenza, in molti casi superiori al milione e 300 mila abitanti dell’intero Abruzzo.

Il tutto a favore di un nuovo modello incentrato non più sull'ospedalizzazione e sul numero oggi eccessivo di ricoveri e di cure improprie, ma sulle reti territoriali, la riorganizzazione dell’intero sistema dell’emergenza-urgenza, la semplificazione ed eliminazione di doppioni secondo il modello, il sistema dell'”hub and spoke”, che prevede la concentrazione della casistica più complessa in un numero molto limitato di ospedali (hub), fortemente integrati con centri periferici (spoke), in un territorio più ampi dei confini regionali.

La Regione Abruzzo, come tutte le altre regioni, ora ha 3 mesi di tempo per recepire il decreto, stilando un cronoprogramma: avrà 2 anni, poi, per applicarlo. La corretta e tempestiva applicazione del decreto è stata messa sul tavolo dal governo come una delle condizioni per uscire dal commissariamento.

Il decreto, spiega ad AbruzzoWeb Davide Farina, segretario regionale Cisl Funzione pubblica, “avrà effetti devastanti come tutte le rivoluzioni, a cominciare dal fatto che degli attuali 24 ospedali pubblici abruzzesi solo 8 saranno di primo e secondo livello, ovvero ospedali a tutti gli effetti, e si salveranno solo 3 o 4 delle attuali cliniche private rispetto alle 11 attuali”.

Il nuovo piano per prima cosa impone l’obiettivo della riduzione di migliaia di posti letto, in base ai nuovi standard del 3,7 letti per mille abitanti per gli acuti e dello 0,7 letti per mille abitanti per la lungodegenza e riabilitazione. Ma su questo punto l’Abruzzo è più o meno già dentro lo standard.

Il decreto prevede, poi, anche il ritocco del tasso di ospedalizzazione che si punta a fissare sulla soglia del 160 per ogni mille abitanti di cui il 25 per cento dedicato ai ricoveri in day hospital. L’indice di occupazione dei posti letto si dovrà attestare sul valore tendenziale del 90 per cento. La durata di degenza per i ricoveri ordinari inferiore mediamente ai 7 giorni.

Novità anche per le case di cura private. Dal 1° gennaio 2017 non potranno più essere accreditate quelle con meno di 60 letti per acuti, tranne per le mono specialistiche che saranno oggetto di valutazioni delle singole Regioni. E dovranno dunque procedere ad accorpamenti. Quelle sotto i 40 posti per malati acuti non saranno più accreditate.

C’è poi, tra le novità più importanti, la classificazione degli ospedali pubblici in tre categorie.





Ci saranno, infatti, i presìdi ospedalieri di base, con bacino di utenza tra gli 80 mila e 150 mila abitanti. Potranno avere solo il Pronto soccorso, la Medicina interna, Chirurgia generale, Ortopedia, Anestesia, e guardia attiva 24 ore su 24, e con letti di osservazione breve intensiva.

Poi ci saranno gli ospedali di primo livello, con bacino di utenza tra 150 mila e 300 mila abitanti. Queste le specialità: Medicina interna, Chirurgia generale, Anestesia e Rianimazione, Ortopedia e Traumatologia, Ostetricia e Ginecologia, Pediatria, Cardiologia, Neurologia, Psichiatria, Oncologia, Oculistica, Otorinolaringoiatria, Urologia e, 24 ore su 24, Radiologia ed Ecografia, Laboratorio, Servizio immunotrasfusionale.

Infine ci sono gli ospedali di secondo livello, le punte di diamante, per un bacino di utenza compreso tra 600 mila e 1,2 milioni di abitanti, che oltre a tutte le specialità dell’ospedale di primo livello hanno in aggiunta Cardiologia con emodinamica interventistica 24 ore su 24, Neurochirurgia, Cardiochirurgia, Rianimazione cardiochirurgica, Chirurgie vascolare, toracica, maxilo-facciale, plastica, endoscopia digestiva complessa, broncoscopia e Radiologia interventistica, Medicina nucleare, Rianimazione pediatrica e neonatale.

Oltre al bacino di utenza, fanno punteggio il numero delle prestazioni erogate, lo standard qualitativo e la deroga concessa a quei presidi in aree interne e isolate, lontane da altri ospedali.

Prima, decisiva questione è dunque il destino degli attuali nosocomi, la cui strenua difesa da parte dei lavoratori, sindacati, comunità locali e onorevoli e consiglieri regionali espressione elettorale di quei territori, ha segnato dieci anni buoni di politica abruzzese.

“I calcoli non sono facili – premette Farina – ma si può intanto dire che, visto che l’Abruzzo ha 1,3 milioni di abitanti, ci sarà posto al massimo per due ospedali di secondo livello. E gli ospedali che possono ambire ad esserlo sono quattro, ovvero gli ospedali di Pescara, Teramo Chieti e L’Aquila”.

Due di troppo insomma, forse addirittura tre. E decidere quali privilegiare e quali penalizzare è una scelta da far tremare i polsi anche al più freddo e implacabile dei riformatori.

Un’ipotesi potrebbe essere quella di immaginare due plessi ospedalieri, L’Aquila-Teramo e Chieti-Pescara, entrambi di secondo livello.

Ma anche con quest’ipotesi non potranno esserci doppioni tra specialità nei quattro attuali ospedali.

Nell’ipotesi invece di un unico ospedale di secondo livello, gli altri ospedali, a quel punto di primo livello, perderebbero numerosissime specialità.

Quello dell’Aquila, per esempio, dovrebbe rinunciare a Neurochirurgia, Chirurgia maxilofacciale, Neuropsichiaria infantile, Anatomia patologica, che sono di competenza degli ospedali di grado superiore.





Perdere queste specialità significa anche ridimensionare l’offerta formativa e professionalizzante dell’Università e in particolare del dipartimento di Medicina.

E ancora, gli ospedali di primo livello non potranno essere, secondo Farina, “più di 5 o 6, con un numero di possibili pretendenti sicuramente più alto. Non sarà una trasformazione facile, perché inevitabili saranno le resistenze dai territori che non accetteranno il depotenziamento del loro ospedale”.

La sorte è incerta soprattutto per ospedali importanti, ma ritenuti di taglia medio-piccola, in base ai numeri del decreto. Per esempio Avezzano e Sulmona, nell'Aquilano, che ambiscono a essere classificati di primo livello.

“Dovranno però contendersi questo riconoscimento con altri ospedali di pari dimensione in altre province – avverte Farina – e i piccoli ospedali rischiano in questa logica di riorganizzazione di perdere ragion d’essere”.

Altri ospedali come quello di Castel di Sangro potrebbero infine giocarsi la carta dell’isolamento territoriale e le deroghe concesse dal decreto, per evitare un drastico ridimensionamento a semplice presidio territoriale.

Ma non è tutto. A rendere ancora di più esplosivo il decreto è la tabella che indica (in milioni di abitanti) gli standard minimi e massimi delle strutture per ogni singola specialità medica.

In base a questi standard, per esempio, l’Abruzzo non potrà ambire ad avere la Cardiochirurgia infantile, la Nefrologia e Urologia pediatrica, per cui è previsto un bacino di utenza dai 4 ai 6 milioni di abitanti.

Potrà avere al massimo due Neonatologie, due Terapie intensive neonatali, due Cardiochirurgie e due Neurochirurgie, visto che il bacino di utenza per queste specialità va dai 600 mila e ai 1,2 milioni di abitanti.

“Pongo una domanda –  dice ancora Farina – quale delle tre neurochirurgie di L’Aquila Teramo e Chieti dovrà essere soppressa?”

Ultimo esempio tra i tanti possibili: Neuropsichiatria infantile e Nefrologia devono avere un bacino di utenza che va dai 2 a 4 milioni di cittadini. Questo significa che queste specialità che sono attive all’ospedale dell’Aquila, per essere mantenute imporranno addirittura accordi con altre regioni, visto che il numero di abitanti eccede quello dell’intero Abruzzo. Con un prevedibile do ut des di singole specialità, visto che anche le altre regioni faranno di tutto per non depotenziare i loro ospedali.

E anche qui la partita, con buona pace dei tecnocrati della spending review, sarà soprattutto politica e campanilistica.

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