L'AQUILA: INCHIESTA TRAFFICO MACERIE, SEQUESTRI E SEI PERSONE INDAGATE DAL COMUNE 46 MILA EURO A XPRESS PER AMPLIARE LA ZONA A FINE PISTA

AEROPORTO: SOTTO TERRA 5 MILA METRI CUBI DI MATTONI E ASFALTO

di Elisa Marulli

22 Ottobre 2014 10:25

L'Aquila - Cronaca, Gallerie Fotografiche

L’AQUILA – Cinquemila metri cubi di blocchi di calcestruzzo, pezzi di asfalto e guaina, mattoni e tondini di ferro: tutto sotto la terra di quella che doveva diventare l'area di sicurezza dell’aeroporto dei Parchi di Preturo, la zona che si trova a fine pista e che ha lo scopo di ridurre il rischio di danni agli aerei, e di conseguenza ai passeggeri, che dovessero arrivare troppo corti in atterraggio o ucire fuori dal tracciato.

In pratica, un’area di sicurezza costruita su una discarica abusiva di 20 mila metri quadrati, lunga come due campi da calcio.

A fermare i lavori in corso, il sequestro dell’area in questione e l’iscrizione nel registro degli indagati di 6 persone disposto dal pm Fabio Picuti a seguito di un'inchiesta della procura distrettuale antimafia del capoluogo. Sotto accusa Giuseppe Musarella, amministratore delegato della società Xpress, Ignazio Chiaramonte, direttore commerciale, l'ingegnere Mario Corridore, dirigente del Comune dell'Aquila referente per l’Ufficio Sviluppo della struttura aeroportuale, e tre imprenditori titolari di ditte di trasporto, Rachele e Antonio Lunari, della Lunari s.r.l. di Rieti e Piero Negrini, della Delta Impianti s.a.s. dell'Aquila.

Il giudice per le indagini preliminari del tribunale dell'Aquila Guendalina Buccella ha autorizzato anche il sequestro dei 6 automezzi che facevano la spola tra i cantieri e l’aeroporto, carichi di macerie, e la somma di 36 mila euro a carico della Xpress, cifra che, per l’accusa, la società ha risparmiato per aver evitato le autorizzazioni.

Le accuse sono di traffico illecito di rifiuti speciali e di discarica abusiva, come si evince dal decreto del giudice per le indagini preliminari, in cui si parla di ben 300  scarichi di macerie effettuati all’interno dell’aeroporto.

Il materiale doveva servire alla realizzazione “a costo zero”, come scrive il gip nel dispositivo, della Resa, la “Runway end safety Area” posta alla fine della pista di atterraggio.

Per realizzare l’intervento, la Xpress ha ricevuto dal Comune 45.889  euro, attraverso una delibera di Giunta risalente all’aprile scorso: di questi, circa 34 mila per effettuare gli espropri, mentre i restanti 12 mila dovevano essere utilizzati per la realizzazione dei lavori di ampliamento.





I rifiuti usati dovevano riempire il dislivello tra la pista, già realizzata, e il terreno circostante, per circa 20 mila metri quadrati, e provenivano da edifici demoliti in alcuni cantieri dell’Aquila, in via Antica Arischia, via Pescara e via Chieti.

Tutto è avvenuto nel giro di pochi mesi, da marzo a maggio del 2014: gli scarichi dei camion sono stati ripresi e documentati dalla sezione Criminalità organizzata della squadra Mobile, che ha individuato anche il sito di scarico interno all’aeroporto, nel quale poi il Nucleo di Polizia giudiziaria ambientale del corpo Forestale dello Stato, con la collaborazione del Nipaf, Nucleo investigativo di polizia ambientale e forestale, del Comando provinciale Cfs dell’Aquila, ha accertato la presenza del rifiuto speciale.

LE REAZIONI

GLI INDAGATI SI DISCOLPANO

“Lì sta lontano dal centro della pista, il centro della pista sta a 100 metri da dove stanno mettendo la terra e quindi la devi rispostare”.

Questa l’intercettazione telefonica contenuta tra le carte della nuova inchiesta giudiziaria con 6 indagati sull’Aeroporto dei Parchi dell’Aquila che ha fatto capire agli inquirenti come all’interno dell’area aeroportuale fosse in corso uno scarico di terra proveniente dai cantieri edili della ricostruzione per la realizzazione dell’area di sicurezza di fine pista, la cosiddetta Resa.

Scoperta che ha portato al sequestro di una vasta area per l’utilizzo di terra e macerie del sisma non trattate.

A riconoscersi in quella telefonata è stato uno degli indagati, l’ingegnere Mario Corridore, responsabile del Comune dell’Aquila per lo sviluppo dello scalo, che ha inviato una nota agli organi di stampa per chiarire la propria posizione.





“L’intercettazione telefonica allegata agli atti dell’inchiesta, che proverebbe il mio coinvolgimento nella vicenda – scrive Corridore – si riferisce, in realtà, a un colloquio assolutamente estemporaneo avuto con il responsabile tecnico dell’aeroporto”.

In particolare, spiega il funzionario comunale, “il sottoscritto, trovandosi sul posto per effettuare alcune misurazioni nell’ambito del progetto di allungamento della pista, ha segnalato l’erroneo posizionamento di un cumulo di terra (e non certo di altri materiali) avendolo visto da lontano, dall’esterno della recinzione, in via del tutto casuale. Posizionamento – continua – da ritenersi erroneo esclusivamente sulla base delle prescrizioni tecniche fornite dall’Enac per l’adeguamento della resa, ovvero l’area di sicurezza a fine pista”.

Corridore assicura di non essere “assolutamente a conoscenza dell’eventualità di trasporto e deposito di materiali di risulta” e di essersi “limitato sempre esclusivamente a fornire pareri di natura tecnica per il miglioramento dell’infrastruttura. Ritengo che la situazione possa essere velocemente chiarita nelle sedi più opportune – conclude – riponendo in ogni caso ampia fiducia nel lavoro della Magistratura”.

Una nota anche da Ignazio Chiaramonte, direttore marketing e commerciale della società che gestisce lo scalo, la calabrese Xpress.

“Io mi occupo di attività di marketing e commerciale. Vedere il mio nome associato ad attività criminose legate anche alla sofferenza del territorio oltre a ledere la mia immagine mi avvilisce in primis come uomo oltre che come professionista – scrive – Ho fatto dell’etica morale uno stile di vita grazie anche all’educazione ricevuta dalla mia famiglia. Mi auguro che si chiarisca al più presto la posizione mia e quella della società”.

Infine anche la stessa Xpress in una terza nota precisa che “in riferimento alle indagini in corso, nel ribadire l’ampia fiducia nelle istituzioni e nella magistratura affinché chiariscano al più presto la posizione degli indagati, l’area sottoposta a sequestro è pari a circa 4.000 metri quadrati e non 20.000 come erroneamente riportato sugli organi di stampa”.

Tuttavia il dato dei 20 mila metri quadrati è stato indicato dagli stessi inquirenti tanto nella nota stampa quanto nel decreto di sequestro.

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