”UN PADRENOSTRO E UN BICCHIERE DI VINO”, I 100 ANNI DEL ”METODO” DI NONNA ELVIRA

2 Giugno 2017 08:06

Pescara -

PESCARA – “E chi mai l’avrebbe detto che un giorno avrei intervistato mia nonna…”. Con queste poche, semplici ma emozionate parole, la collega Catia Napoleone ha intervistato sua nonna Elvira nel giorno in cui spegne la ragguardevole, centesima candelina.

Un colloquio diretto, ironico in alcuni punti e toccante in altri, affidato ad AbruzzoWeb per ricordare, riflettere e farsi qualche domanda, proprio alla maniera dei nonni.

Buona lettura e auguri a nonna Elvira dalla redazione, nella consapevolezza che spesso un bicchiere di vino e un padrenostro, come suggerisce lei, possono davvero servire ad alleviare una qualche situazione difficile.

di Catia Napoleone *

Lei è Elvira Di Cristofaro, ma il cognome è roba moderna, troppo moderna che serve giusto al postino assunto da poco da quando non ci sta più Gianni che lui sapeva tutto di tutti e sì che la posta arrivava sempre destinazione.

E a chi le chiede oggi “ Signora ma lei come si chiama?, lei risponde “ Gnoremà, prima cosa… le signore stanno in cielo e io a quelle di primo pelo non ho mai creduto. Io comunque ho fatto la contadina e mi chiamo Elvira e sono la figlia di Albina. Io sono Elvira di Albina e basta. Sono nata a Bucchianico e sono vissuta a Brecciarola di Chieti una vita, appunto”.

Ciao nonna, come stai?

E come dovrei stare? Ho qualche dolore qua e là. Guardo la televisione ma poco poco. La spengo subito che non ci sta più niente da guardare.

Nonna ma lo sai che oggi è il tuo compleanno?

L’avevo dimenticato. Sì, oggi è due giugno. E Giovanni dov’è?

Il nonno non c’è più.

È vero. L’avevo dimenticato. Sai che combinava quel matto di Giovanni quando c’erano i tedeschi? Io andavo alla Fonte degli augelli, qui a Brecciarola, a lavare le lenzuola e lui, per paura che i soldati mi venissero appresso, si metteva a spiare fino a quando non sparivo in strada.

Come erano i tedeschi?

Gentili. I tedeschi erano educati, ma nonno Giovanni era geloso e io se restavo fuori ad asciugare i capelli lui si arrabbiava e io me ne dovevo scappare dentro casa che sennò mi portava il muso per giorni interi.

E tu cucinavi pure per i tedeschi?

Certo che sì. Facevo le sagne con acqua e farina e poi prendevo due pomodori dall’orto, due foglie di basilico, lu vascianicole insomma, due di numero e ci facevo il sugo.

E quelli, i tedeschi, apprezzavano?

E secondo te, no? Certo che apprezzavano.

Ma di oggi, che mi dici di oggi?





Che io non ricordo nulla. Mi sono persa un pezzo di memoria per strada. A volte dico grazie a Dio, a lui che ancora mi fa mangiare, mi fa bere e mi fa stare con i figli dei figli dei figli. A volte non vi riconosco. Io ho due figlie, Ilde e Lidia. Quelle le ho volute davvero. So che tutti voi siete nipoti e va bene, ma un attimo dopo non so chi siete.

Nonna ma sei felice di essere arrivata a cento anni?

Sì anche se mi piacerebbe tornare indietro, ma con la testa di oggi.

E che faresti?

Boh, forse tutto quello che ho fatto. Io la vita me la sono goduta come ho potuto. Mi sono goduta le figlie e mio marito anche se per poco.

Ti manca nonno Giovanni?

E chi è?

Tuo marito?

Sì, certo, lui se l’è squagliata e io sono rimasta vedova che ero molto giovane. Avevo 56 anni.

E perché non ti sei risposata?

Ai tempi miei funzionava così ma, a ogni buon conto, di marito me n’è bastato uno. Anzi mi è pure avanzato. Ma tu chi sei?

Come chi sono? Sono tua nipote. Oggi sono qui per festeggiare i tuoi cento anni. Ci stanno pure tutti gli altri.

Sul serio? Ma non li avevo fatti a gennaio?

No, nonna. Tu sei nata a giugno. Il 2 giugno. Ma l’anno almeno te lo ricordi?

Io sono nata nel millenovecentodiciassette! Ma tu chi cavolo sei?

Sono tua nipote. Sono Katy.

Ah, l’avevo dimenticato. Ma sei cresciuta un poco…

Sì, ma allora che mi racconti oggi?

Che ti voglio raccontare figlia mia? Ti dico che la vita è breve e che bisogna godersela finché il fiato non ci abbandona.





Ma allora sei felice assai?

Certo che sì. Provaci tu ad arrivare agli anni miei!

E che segreto hai?

Mah. I dolori veri come la fame, la guerra, i lutti e certi dispiaceri bisogna farseli scivolare sulla pelle.

E come si fa?

Si fa che se non capisci come si fa sono cavoli amari e a cento anni non ci arrivi. La rabbia fa morire giovani. La rabbia, i rancori, le tristezze non devono entrare nella carne.

Sì, ho capito, ma come si fa?

Si fa che quando capita una disgrazia, ché il mondo è pieno di disgrazie, torni a casa e ti siedi a tavola, a mezzogiorno in punto e ti fai prima il segno della croce e dici un Padre Nostro e poi ti fai un bel bicchiere di vino. Io ho sempre bevuto ai matrimoni, ai battesimi ma pure al funerale di qualcuno. Prima mi sono fatta un bicchiere e poi ho pianto.

Ma il vino non fa male?

Sì, me lo dice pure il mio medico e prima ancora me lo diceva suo padre che faceva pure lui il medico e io, intanto, pure se mi scordo tutto, mi ricordo che ci sto mentre gli altri se ne sono andati.

Nonna, vuoi un bicchiere di vino?

Sì e dopo dammi pure la compressa che con l’acqua le compresse per il cuore fanno male.

Auguri nonna.

Ma tu chi sei?

Una che è capitata qui, per caso.

Allora dammi un abbraccio che la vita è tutta qui.

Auguri nonna!

Oddio, auguri pure a te. E che tu possa arrivare agli anni miei, figlia! Questo ti auguro. Che tu possa arrivare agli anni miei! La vita è ‘na cosa bella addaver! E io questo mondo non lo voglio proprio lasciare.

* giornalista

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