TWIN DRAGONS IN CITTA’: BRAIDO, ”L’AQUILA, CHIAMA VASCO!”

di Alberto Orsini

24 Novembre 2011 13:01

L'Aquila -

L’AQUILA – Basso, chitarra, e via. Rock, blues, jazz, soul, perfino country, cambiando genere senza scomporsi e suonando per circa due ore.

Ieri sera i Twin Dragons, la chitarra geniale di Andrea Braido da Treviso e il basso impetuoso di Nathaniel Peterson da Memphis, hanno fatto letteralmente vibrare la bella sala del Novecento10, ristorante e wine bar aquilano nato dall’intuizione di Remo Paone, Fabrizio e Maurizio Ciotti e Danilo Valentini.

Nella tappa aquilana della rock blues band nata nel 2002 Braido e Peterson hanno suonato (e cantato) di tutto.

Da Hey Joe di Jimi Hendrix a Stand by me di Ben E. King, cantata assieme al pubblico divertito, fino a Hoochie Coochie Man di Muddy Waters, resa celebre da BB King ed Eric Clapton, passando per il rock scatenato della loro Killing Floor e la scanzonata Don’t kiss my lips per concludere con Life (divenuto acronimo “Love is for ever”).

Alla fine, chitarra ancora in braccio, Braido si è fermato a firmare autografi mentre i fan chiedevano i suoi cd. “Quando finisco è sempre così, soprattutto quando c’è l’atmosfera giusta!”, ha commentato soddisfatto. Poi è venuto il momento delle foto, con sorriso sempre smagliante. “Prima facevo sempre facce serie, poi un tale in Sicilia mi ha chiesto perché non ridevo mai!”.

Mentre era ancora indeciso se trangugiare un tè tonificante oppure un buon bicchiere di vino bianco, il chitarrista si è confessato ad AbruzzoWeb, parlando del suo concerto, della sua arte, e del suo rapporto con Vasco Rossi, che nel 1990, appena venticinquenne, aiutò con la sua chitarra a far “ringhiare” hit come Siamo solo noi e C’è chi dice no in un concerto memorabile, quello del 10 luglio di San Siro davanti a 70 mila persone.

Vasco che ora questo giornale vorrebbe far venire all’Aquila per un mega concerto. “Un’idea giusta”, per Braido.

Grande concerto, noi ci siamo divertiti. Voi vi siete divertiti?

Io moltissimo, avevo proprio voglia di suonare stasera!

Non è la prima volta che vieni all’Aquila.

È la terza. Ho suonato qui nel 2002 a Blues sotto le stelle, ospite dei Ten Years After, mentre l’anno scorso con Marco Mendoza alla Piscina comunale.





E stavolta avete suonato senza batteria, com’è stato?

Io ho suonato molto da solo, studiato chitarra da solo basandomi sul ritmo che senti dentro. Se ce l’hai sei a posto, se non ce l’hai è un casino.

L’assenza delle percussioni, comunque, non è pesata più di tanto!

Sì, forse perché c’era proprio voglia di suonare, di divertirsi e di fare le cose a modo.

Il pubblico ti è piaciuto?

Moltissimo. Mi è piaciuto perché non è assolutamente facile un concerto del genere. Con la batteria hai una dinamica, un volume, spacchi. Così devi basarti sulla tua dinamica, anche sul fatto di suonare pianissimo. Anche il posto ha contribuito, una bella sala, notevole.

Che differenza c’è tra suonare in Europa e negli States?

Tutte le volte che ho suonato in Europa ho sentito una grande attenzione, soprattutto in Germania, Repubblica Ceca, Austria, Svizzera. In America è una bella spinta in più perché senti tantissimi musicisti “cattivi”, che son lì e ti dicono “Voglio proprio vedere che fai adesso”, e allora devi dare giù belle mazzate! È bello confrontarsi, però devi saper suonare.

Con Nathaniel avete mai pensato di scambiarvi gli strumenti?

Io sono polistrumentista, ma non in questa situazione, lo faccio con il mio trio fusion. Poi lui è mancino.

Quali sono le prossime tappe, i tuoi progetti futuri?

Domani (oggi, ndr) sono a Roma, poi il 26 andrò a fare una clinics (dimostrazione-esibizione, ndr) ad Ancona. Quanto ai progetti, è uscito ultimamente il mio nuovo disco acustico, Dai Beatles a Jobim passando per…. Ne uscirà anche un altro, in programma il prossimo anno. E poi… concerti, concerti, concerti.





Insomma, non ci si ferma mai.

No! Almeno io non mi posso fermare… È proprio una mia esigenza.

Tra le tante collaborazioni della tua carriera, quella con Vasco Rossi. È un periodo che ricordi con piacere?

Moltissimo, soprattutto gli anni dei tour Fronte del palco e Gli spari sopra. Ma ho lavorato anche nei dischi in studio, ne ho fatti ben sei in totale. Oltre a quei due live, anche Nessun pericolo per te, Rock, e il doppio best Platinum Collection.

Ti piace di più suonare davanti a 70 mila persone come in quegli anni oppure davanti a 70?

Mi piace molto quando non c’è troppa gente, quando il pubblico è lì apposta per te e c’è questa atmosfera tipica da club statunitense. In uno stadio, a 100 metri dal pubblico, che è lì per te ma anche e soprattutto per il cantante, è sempre bello ma il feeling è sicuramente diverso.

Il soprannome di Big Boy ti è rimasto?

Assolutamente sì, me lo hanno dato perché quando ho suonato a San Siro avevo appena 25 anni. Mi chiamano ancora così, anche se gli anni passano per tutti!

AbruzzoWeb sta organizzando una mobilitazione, intitolata “L’Aquila chiama Vasco”, con il “sogno” di un concerto per riaccendere le luci sul capoluogo ferito e su una ricostruzione che stenta. Che ne pensi?

Sicuramente darebbe un grosso contributo perché i politici sappiamo come sono… Secondo me ci sono tanti cantanti che sicuramente aderirebbero. Quanto a Vasco, scegliere di aderire a questa iniziativa dipende solo dal singolo e dalla sua personale decisione quindi è una cosa troppo personale, ovviamente penso che dal mio punto di vista sarebbe una grande cosa!

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